In un poema tanto vasto e composito quale il “De rerum natura”, scritto dal poeta latino Lucrezio nel I sec. a.C., non manca un’attenta disamina dell’amore (libro IV), corredata di avvertenze, rimedi e controindicazioni. Tra i differenti mali presentati nel corso dell’opera, come pestilenze e catastrofi naturali, egli sostiene che il solo cui sia possibile sottrarsi è la passione amorosa; da seguace dell’epicureismo la considera, infatti, un significativo ostacolo per il perseguimento della voluptas (piacere), per cui appaiono dapprima necessari l’aponìa (assenza di dolore) e l’atarassia (imperturbabilità), inconciliabili con le brame ed inquietudini che il sentimento amoroso genera. Consiglia, pertanto, di tenersene lontani e distinguerlo dal sesso, invece essenziale per natura, delineando un comportamento che attualmente in psicologia è chiamato “filofobia” (paura di amare). Le persone affette da tale disturbo fobico provano disagio, ansia e, nei casi più gravi, panico dinnanzi anche solo all’idea di intessere una relazione romantica o un legame emotivo, per timore di perdere il controllo e soffrire.
Lucrezio si serve, dunque, dello strumento poetico in maniera innovativa e antifrastica, facendone non il mezzo per cantare le bellezze, i piaceri o gli effetti, talvolta devastanti, dell’eros – come da tradizione -, bensì per dissacrarne la leggenda.
Ma una visione tanto disincantata e negativa dell’amore, designato come furor per eccellenza, può derivare dalla personale esperienza biografica dell’autore? Benché San Girolamo affermi che la vita del poeta fu segnata da un “amatorio poculo” (filtro d’amore) che – pare – ne determinò la morte prematura, oggi, stante il silenzio dei suoi contemporanei, non è possibile trovare risposta all’interrogativo. Appare, tuttavia, ragionevole credere che l’esperienza individuale segni, spesso irrimediabilmente, le idee o l’immaginario di una persona, rendendoli unici. Così, l’amore, pur potendo avere (o essere) un denominatore comune per tutti gli uomini, non si caratterizza per un’accezione universale, ma si (in)definisce come il più affascinante e indistricabile dei misteri umani.
Maria Elide Lovero