Una struttura, una masseria, una torre millenaria che domina incontrastata le campagne di Giovinazzo. Si tratta del complesso di Sant’Eustachio, storico punto di riferimento delle comunità rurali della città che, nel corso della sua lunga storia, ha ospitato anche una comunità di greci, poi sparita a causa di una carestia e di una pestilenza.
Il complesso sorge abbastanza lontano dal centro cittadino, ai confini col territorio di Bitonto. Si articola all’interno di uno spesso muro di cinta, cui si accede da un unico ingresso monumentale. Subito sulla destra si trova un ampio edificio usato come abitazione; nel centro del complesso spicca la chiesa omonima; infine, in una posizione opposta rispetto all’ingresso, si trovano gli ambienti destinati all’attività agricola. A riempire gli spazi vuoti del complesso c’erano, originariamente, un giardino e un orto, ora dominati dalla natura incolta.
Il complesso non ha una data di costruzione precisa: alcune fonti riportano il 1096, altre anticipano al 1055. Certamente, però, dalle diverse strutture che compongono il casale si può facilmente comprendere come, nel corso del tempo, la chiesa e gli altri edifici siano stati oggetto di grandi rifacimenti.
La parte più antica è sicuramente la chiesa di Sant’Eustachio. È una struttura di pregio che riprende l’antico schema delle chiese con due cupole in asse: queste sono facilmente visibili dall’esterno e sono caratterizzate dalla copertura a chiancarelle, evoluzione della tecnica di costruzione dei trulli. Era originariamente illuminata da alcune monofore, poi murate nel corso dei secoli, ma ancora distinguibili all’esterno. Doveva essere decorata da splendidi affreschi: ad oggi, se ne intravede uno, raffigurante probabilmente un santo, appena all’ingresso della struttura, oltre a varie decorazioni vegetali sia in corrispondenza delle cupole, che della parete sinistra. Delle decorazioni più recenti ne rimane solo una in stucco sulla volta di una delle due cupole. Tutto il resto è stato trafugato: la pavimentazione, l’altare principale e un secondo altare che si trovava sulla parete sinistra.
Dall’ingresso della chiesa si accede anche alla torre campanaria, area fortificata del complesso che serviva alla difesa dello stesso e a comunicare con gli altri casali dell’agro. La torre ha un’altezza complessiva di circa venti metri e si sviluppa su ben cinque livelli, dei quali solo due sono visitabili: piano terra e primo piano. A questo si accede tramite una scala a cui sono stati trafugati persino i gradini: l’ambiente si affaccia direttamente all’interno della chiesa da un lato, e sulla struttura destinata all’attività agricola dall’altro. Agli altri piani si accedeva, probabilmente, con delle scale lignee che poi erano ritratte in caso di attacco.
Visitiamo ora l’ambiente agricolo: esso si compone di due ampie camere, e in una di queste si notano delle grandi vasche usate in passato per la produzione del vino. Strutture simili si trovano molto facilmente in tutto l’agro e prendono il nome di palmenti. Testimoniano un tempo in cui oltre all’olivo, era molto diffusa la coltivazione della vite.
L’ultima struttura che visitiamo è l’abitazione, che è la parte più recente del complesso. Essa si sviluppa su due livelli, uno oggi parzialmente interrato e destinato originariamente a deposito, e uno sopraelevato, a cui si accede tramite una scala esterna. Gli ambienti completamente spogli sono molto illuminati, esposti su due lati all’esterno del complesso e sfregiati, purtroppo, da scritte indecenti. Da questi spazi parte un’ulteriore rampa di scale che conduce alla terrazza. Da questa si può ammirare meglio la stessa torre: si comprende il rischio a cui la millenaria struttura è esposta, attraversata com’è da molte crepe. La vista spazia poi sulla campagna circostante, con una straordinaria visuale a 360 gradi su un vero e proprio mare di ulivi.
Terminiamo la visita al complesso attraversando il portale d’accesso, notando che su uno degli stipiti dello stesso si trova incisa una croce, simbolo del passaggio dei pellegrini in un’epoca remota. Tutti elementi che fanno di questa struttura una straordinaria testimonianza del medioevo pugliese.
Giuseppe Mennea