È sbagliato definire Adriano Olivetti utopista perché utopia significa, letteralmente, “non luogo”, cioè qualcosa di immaginabile, certo, ma di irraggiungibile; Adriano il suo sogno, al contrario, lo aveva realizzato.
Ma facciamo un passo indietro: chi era Adriano? Nato ad Ivrea, in Piemonte, nel 1901, Adriano era figlio di Camillo Olivetti, fondatore dell’omonima azienda Olivetti, prima fabbrica italiana a produrre macchine per scrivere. Nel 1924 si laureò in ingegneria chimica al Politecnico di Torino e l’anno successivo, incoraggiato dal padre, partì per gli States per studiare meglio le tecniche di organizzazione aziendale delle multinazionali.
Nel 1926 tornò in Italia prima per lavorare come operaio dell’azienda e poi per affiancare il padre, nel 1932, al comando della fabbrica. Dal 1938, però, ne divenne unico presidente e la sua storia, da lì in poi, sarebbe stata tutta in salita.
Adriano, infatti, in breve tempo triplicò la produzione annua, riducendo l’orario lavorativo e aumentando la paga dei dipendenti (superiore del 20% rispetto alle aziende concorrenti). Inoltre, concesse numerosi benefici per i lavoratori: maternità retribuita (di nove mesi, anziché i due del tempo), assistenza medica, dibattiti e mostre culturali (con personalità del calibro di Pasolini, Volponi, Luciano Foà, Tiziano Terzani, ecc…), biblioteche, asili e mense gratuiti costruiti all’interno delle strutture, case edificate vicino alle fabbriche e dotate di orti personali.
Adriano aveva compreso che la produttività andava di pari passo con la crescita culturale e spirituale dei lavoratori, crescita che veniva valorizzata da moderni progetti sociali e urbanistici. Così, dopo aver aperto strutture in Belgio, Argentina, Gran Bretagna e, addirittura, a New York, nel 1955 decise di fare il definitivo salto di qualità. Su consiglio dello stesso Enrico Fermi, Olivetti, in collaborazione con l’università di Pisa, finanziò un gruppo di ricerca per la costruzione della prima calcolatrice elettronica. A capo del progetto pose Mario Tchou, giovane prodigio italo-cinese, che, con altri giovani scienziati, creò il primo transistor e, di lì a poco, il primo elaboratore matematico: l’Olivetti Elea 9003. Era un risultato senza precedenti, che dimostrava come l’Italia non solo poteva essere considerata alla pari degli Stati Uniti dal punto di vista tecnologico, ma che fosse addirittura superiore.
La realtà di Olivetti ebbe una brusca interruzione quando il 27 febbraio 1960 morì improvvisamente sul treno che lo avrebbe portato in Svizzera, e pur non avendo eseguito alcuna autopsia, i medici imputarono la morte ad un’ischemia celebrale. Solo qualche anno più tardi si sarebbe scoperto che l’industriale era stato oggetto di indagini da parte della Cia.
Con la morte di Adriano e di Mario Tchou (1961), l’azienda passò al figlio Roberto che, oberato dai debiti, fu costretto a svendere la compagnia alla statunitense General Electric, che non perse l’occasione per smantellare il reparto dell’elettronica e impossessarsi di tutte le invenzioni italiane.
Riassumere in poche righe la figura di Adriano Olivetti è impresa ardua e che, soprattutto, non gli rende giustizia. Per approfondire vi consiglio questo video.
Simone Lucarelli