Curiosità sulla mandragola: tra scienza e letteratura rinascimentale

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Capolavoro del teatro del Cinquecento è la “Mandragola” di Niccolò Machiavelli, titolo che richiama il nome di una pianta a cui le antiche credenze popolari avevano attribuito poteri magici: si pensava potesse curare la sterilità di una donna.

Questa leggenda trova spazio proprio nell’opera di Machiavelli. Infatti, nella vicenda della commedia si vuol far credere, con l’inganno, che una pozione a base di mandragola possa beneficiare sulla fertilità di Lucrezia, moglie del dottore in legge Nicia, ma che al contempo possa essere letale per il primo uomo che giacerà con costei. Autori di quest’artifizio sono Callimaco e Ligurio, rispettivamente un giovane meschino innamorato di Lucrezia e un parassita con una certa dimestichezza negli intrighi. La trama si risolve con l’esaudimento del desiderio sia di Callimaco, quello di passare una notte con l’amata, che di Nicia, di avere un erede.
La pianta della mandragola possiede davvero alti livelli di tossicità, ma il motivo per cui era temuta al tempo di Machiavelli era un altro, ovvero per il suo aspetto antropomorfo. Si riteneva che avesse sembianze umane e che il suo urlo potesse uccidere l’uomo. Perciò l’autore de “Il Principe” descrive il rigoroso processo secondo il quale doveva essere estratta la radice della pianta: estirpata da un cane nero o da una vergine.

Sofia Fasano

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