Oggi ricordato come poeta, sociologo, educatore ed attivista della nonviolenza (da qui il soprannome di “Gandhi della Sicilia), Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 dicembre 1997) si adoperò nel corso del novecento per rendere questo paese un posto migliore. Diplomatosi dapprima geometra e intrapresi in seguito gli studi universitari di architettura, coltivò sin da adolescente una sensibile passione per l’Umano in ogni sua forma espressiva: conseguì, infatti, anche la maturità artistica, in parallelo agli studi tecnico-scientifici, fu raffinato cultore di musica classica ed insegnò con dedizione ai più umili presso delle scuole serali. A un passo dalla discussione della sua tesi di laurea, scelse di abbandonare ogni cammino intrapreso sino ad allora per aderire alla comunità toscana di Nomadelfia (parola figlia del greco antico, dal significato “dove la fraternità è legge”), fondata da Don Zeno Saltini allo scopo di abolire la proprietà privata e vivere in piena solidarietà e fratellanza secondo le parole dei Vangeli. Nel 1952, tuttavia, non ancora trentenne, volle trasferirsi in Sicilia, per promuovere lotte non violente contro la mafia e tentare di estinguere mali ben radicati come fame, analfabetismo e disoccupazione, cause prime della criminalità. Protestò in maniera fattiva praticando a lungo il digiuno sul letto di Benedetto Barretta, bambino morto per denutrizione, e lo interruppe solo quando le autorità si impegnarono ad arginare il problema con interventi immediati. Da quel momento si assistette ad un susseguirsi interminabile di scioperi e manifestazioni, per cui Dolci fu definito “colpevole”, tanto da essere arrestato per resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione alla disobbedienza e invasione di terreni. Tale processo ebbe una risonanza notevole in tutta la penisola, tanto che si schierarono come testimoni della difesa intellettuali emeriti quali Carlo Levi ed Elio Vittorini e fra gli avvocati figurava Piero Calamandrei, nostro padre costituente; in suo sostegno vi furono anche J.P. Sartre, A. Moravia, J. Piaget, Huxley e molti altri. Ciononostante ricevette come pena 50 giorni di carcere, scanditi, però, da rumorose rivolte giovanili ispirate ai valori che Dolci stava diffondendo nei quartieri più disagiati; fra i ragazzi che abbracciarono con entusiasmo le idee di Dolci spicca Peppino Impastato, che a soli diciannove sfilò al suo fianco ne “La marcia della protesta e della speranza”.
Negli incontri quotidiani che aveva, attingeva, come egli stesso disse, al metodo socratico, giacché era di primaria importanza per lui che ognuno fosse spinto ad interrogarsi, confrontarsi e decidere, portando avanti un lavoro di “capacitazione” di chi solitamente è escluso dalle dinamiche del potere.
Qualsiasi commento sul suo operato non sarebbe che una superflua ghirlanda per una vita esemplare, conclusasi nel 1997, mai alla ricerca di fama e denaro e, per questo, insignita del “Premio Lenin per la pace”, il “Premio Socrate di Stoccolma” e la laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione.