Genitore comune di quasi tutti gli sport da combattimento occidentali è il pancrazio, un’arte talmente popolare nell’antica Grecia da divenire specialità olimpica nel 648 a.C.
Il termine pancrazio significa letteralmente onnipotenza: la parola nasce dall’unione di πάν (tutto) e κράτος (forza) e infatti l’obiettivo degli atleti era quello di sottomettere l’avversario per dimostrare la propria superiorità.
I lottatori combattevano nello Skamma, un ring coperto di sabbia largo circa tre metri, e completamente nudi, cosparsi solo con l’olio d’oliva che li proteggeva dalle abrasioni e dal sole cocente, dato che gli incontri si svolgevano prevalentemente in estate. Non c’erano regole ferree, come accade negli sport da combattimento odierni, ma gli unici divieti erano quelli di cavarsi gli occhi, colpire i genitali e tirare morsi; in caso di trasgressione delle regole l’arbitro o l’allenatore di turno poteva frustare il pancratista.
Non esistevano round e limiti di tempo: lo contro terminava se uno dei due partecipanti alzava il dito indice come segno di resa, oppure quando uno dei due moriva.
Il pancrazio costituiva un elemento fondamentale dell’educazione della classe aristocratica greca prima, e romana poi: si praticò infatti sino al 392 d.C., anno in cui l’imperatore Teodosio promulgò una serie di decreti che, tra le altre cose, sospendevano i giochi olimpici perché considerati di derivazione pagana.
Simone Lucarelli