Il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, è una fondazione senza scopo di lucro che ha come missione quella di promuovere e prendersi cura del patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano, andando a impiegare somme ricevute da privati o istituzioni per acquisire e restaurare beni a rischio o semplicemente rendere temporaneamente fruibili beni privati. La fondazione, che opera dal 1975, è molto attiva nella nostra regione anche grazie alle numerose manifestazioni ed eventi dei vari gruppi locali. Inoltre, proprio quest’anno, è risultata vincitrice del concorso “Luoghi del cuore” la Chiesa di S. Pietro dei Samari di Gallipoli, che è quindi destinata ad essere acquisita e recuperata dal FAI. Questa struttura andrà ad aggiungersi a un altro bene di pertinenza del FAI nella nostra regione, ovvero l’Abbazia di S. Maria di Cerrate a Squinzano. Ed è proprio di questo bene FAI che vogliamo parlare oggi.
L’abbazia, fondata secondo la leggenda da Tancredi d’Altavilla, fu, in realtà, probabilmente voluta da Boemondo d’Altavilla, figlio del più celebre Roberto il Guiscardo, collocandosi cronologicamente a ridosso tra XI e XII secolo. Qui si insediò un cenobio di monaci greci che seguivano la regola di San Basilio, rifugiatisi in Salento per fuggire dalle persecuzioni iconoclaste attuate a Bisanzio.
L’abbazia si ampliò progressivamente, fino a divenire uno dei centri monastici più importanti del meridione. Nel 1531 passa nelle pertinenze dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli: all’epoca comprendeva la chiesa e una serie di edifici e ipogei a destinazione agricola. Il tracollo si verificò solo due secoli dopo, nel 1711, quando fu messa a ferro e fuoco dai Turchi. Da quel momento, l’edificio cadde in completo abbandono, e fu recuperato solo nel 1965 dalla Provincia di Lecce, che poi lo affidò al FAI nel 2012.
La particolarità della struttura è quella di essere uno degli esempi più riusciti del romanico pugliese. La chiesa è a tre navate, divisione che già si può osservare nella facciata, che presenta un piccolo rosone, due monofore e un portale duecentesco decorato da rilievi a tema sacro. Sul lato sinistro della struttura sorge un bel portico, decorato da colonne cilindriche e poligonali con capitelli figurati. Nei pressi del portico sorge anche un pozzo, più recente, risalente al XVI secolo. All’interno della chiesa sono particolarmente degni di nota il baldacchino, presente sopra l’altare principale, e i cicli di affreschi duecenteschi e trecenteschi.
Tutto attorno alla chiesa sorgono gli altri edifici che costituiscono la struttura, e quindi quelli che propriamente costituivano la masseria, destinati a stalle, abitazione e depositi. Ben due frantoi ipogei arricchivano il centro, di cui quindi si può facilmente intendere l’importanza economica svolta nei secoli, collocato com’era sulla via che da Lecce conduceva a Otranto.
L’abbazia, ormai completamente recuperata e restaurata, è regolarmente visitabile.
Giuseppe Mennea