Come l’arte può nascere dal dolore: Fëdor Dostoevskij

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Fëdor Dostoevskij nacque a Mosca nel 1821, secondo di sette figli, da una famiglia della nobiltà emergente moscovita, rivelandosi ben presto grande amante di attività quali la letteratura, la preghiera e la musica, a cui era stato educato dalla madre, donna allegra e semplice, che perse all’età di soli sedici anni. A distanza di due anni da tale evento che segnò profondamente la vita dello scrittore, morirà anche il padre, uomo duro e dispotico, ucciso da contadini, suoi dipendenti, che maltrattava a causa dell’alcolismo.
Pur avendo portato a termine gli studi di ingegneria militare, intrapresi per ordine paterno e a lui poco congeniali, a 25 anni pubblicò il primo romanzo, dal titolo “Povera gente”, che inaugurò il suo percorso nella letteratura russa, ma il cui insuccesso peggiorò ulteriormente la condizione di povertà in cui versava da anni e, conseguentemente, il suo stato di salute, visti i frequenti attacchi epilettici.

Iniziò a frequentare circoli socialisti, le cui finalità rivoluzionarie gli procurarono l’estrema punizione: la pena capitale; tuttavia, poco prima che avvenisse la fucilazione, lo Zar Nicola I modificò la condanna, ordinando quattro anni di lavori forzati in Siberia, terminati i quali diverrà soldato e, in seguito, ufficiale. Conosce la sua futura moglie, Marija, che sposerà nel 1857 e con la quale si trasferirà a Pietroburgo a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute. Nel periodo successivo al congedo si dedicherà ad un’intensa e prolifica attività letteraria che gli darà grande lustro fino ai giorni nostri, tanto da poterlo ritenere uno dei più grandi scrittori e pensatori russi assieme a Tolstoj. Un enfisema polmonare lo conduce alla morte nel 1881, all’età di sessant’anni. La sua opera, al giorno d’oggi ancora viva nella memoria letteraria, teatrale e cinematografica, rappresenta una prova tangibile di come da una vita segnata dalla sofferenza possa scaturire una magnifica arte, figlia di un dolore accolto e rielaborato con umanità.

Maria Elide Lovero
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