In questa giornata di solstizio d’estate, il giorno dell’anno con il maggior numero di ore di luce nell’emisfero boreale, ricordiamo la scomparsa della poetessa Patrizia Cavalli, avvenuta esattamente un anno fa.
Le poesie di Cavalli hanno attraversato il secolo corrente e scorso, hanno a pieno rappresentato la generazione degli anni delle proteste studentesche fino ad arrivare ai tempi più recenti (la sua ultima raccolta, “Vita meravigliosa”, risale al 2020).
Nata a Todi, il paese di Jacopone, in provincia di Perugia, a partire dagli anni Settanta scelse Roma per vivere e studiare. Durante gli studi di filosofia, che concluse con una tesi di dottorato sull’estetica della musica, l’incontro con Elsa Morante le fece scoprire l’inclinazione per la scrittura. In realtà Cavalli scriveva da tempo e con timore mostrò successivamente un piccolo numero di poesie a Morante.
Le sue due prime raccolte “Le mie poesie non cambieranno il mondo” (1974) e “Il cielo” (1981) sono state riunite nel 1992 nel volume “Poesie (1974-1992)”, in cui è inserita anche la sezione inedita “L’io singolare proprio mio”.
Le sue poesie sono caratterizzate da una sincerità semplice che descrive con parole appartenenti al lessico quotidiano, ma ben selezionate, la fragilità della vita e dell’essere umano, nei suoi momenti più gioiosi e in quelli più bui. Si tratta di una poesia estremamente moderna, vicina all’ermetismo, tuttavia non banale né mediocre come quella in cui si può incappare oggi. Nonostante ciò, le sue poesie possono ricordare gli epigrammi classici, anche per l’aspetto comune della brevità. Un connubio perfetto per parlare la lingua della malinconia.
Sofia Fasano