Palazzo Serra di Cassano e quel portone chiuso dal 1799

Una lunga storia di opposizione al regime borbonico

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Napoli è celebre per i suoi monumenti storici, come il Palazzo Reale o la Reggia di Capodimonte. Tuttavia, come tutte le grandi città e in quanto, formalmente, ex capitale di un Regno, presenta un vasto patrimonio artistico costituito dalle splendide dimore della nobiltà, alcune delle quali potevano competere con gli stessi siti reali. Tra i numerosissimi esempi, uno in particolare presenta una storia assai singolare: stiamo parlando del Palazzo dei Principi Serra di Cassano, il cui portone d’accesso è chiuso fin dal 1799.

La nobile dimora che sorge sulla collina di Pizzofalcone, non lontano dal collegio militare della Nunziatella, è un altro capolavoro dell’architetto Ferdinando Sanfelice, cui abbiamo più volte fatto riferimento. Presenta una serie di vasti cortili e uno splendido scalone monumentale a doppia rampa, molto scenografico per l’accostamento di materiali assai diversi tra loro, come il piperno e il marmo bianco. Oggi l’edificio, che è sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, può essere raggiunto solo dall’ingresso posteriore, poiché quello principale è chiuso, come detto, da più di duecento anni. Scopriamo insieme il perché.

Erano gli anni delle campagne napoleoniche, quando i francesi, instaurate le “repubbliche sorelle” in Italia settentrionale, minacciavano direttamente Roma e Napoli. L’allora Re di Napoli, Ferdinando IV, decise di mettersi a capo di un vasto esercito per ristabilire a Roma l’autorità papale: liberata Roma, però, cadde sotto l’attacco del generale Championnet, che costrinse i borbonici a rifugiarsi in Sicilia. A Napoli fu instaurata la Repubblica, dopo una sanguinosa battaglia contro i lazzari antifrancesi.

Fu così che numerosi esponenti della nobiltà, i quali avevano da tempo abbracciato le idee e i principi dell’illuminismo, furono messi, almeno teoricamente, nella posizione di poter ammodernare un Regno che, nei fatti, rimaneva ancora feudale. La realtà, però, fu ben diversa: nonostante formalmente vigesse la Repubblica, infatti, Championnet instaurò una dittatura militare, e i repubblicani dovettero affrontare parecchie difficoltà finanziarie legate alle continue requisizioni.

Tra i nobili che presero parte alla Repubblica ci fu proprio un Serra di Cassano, Gennaro, che, all’epoca appena ventisettenne, cercò di migliorare le condizioni del popolo, votando un decreto di abolizione della feudalità che, nei fatti, rimase inattuato a causa della breve vita della Repubblica stessa.

Approfittando, infatti, della disfatta di Napoleone ad Abukir, le potenze europee procedettero a scacciare i francesi dai territori delle repubbliche sorelle. Gli stessi francesi di Championnet si ritirarono da Napoli, dove i Repubblicani rimasero da soli a difendersi dall’avanzata dei sanfedisti del Cardinal Ruffo, che giungevano dalla Calabria per preparare la strada ai Borbone, che governarono Napoli fino al ritorno dei francesi nel 1806.

Nonostante i Repubblicani si fossero accordati col cardinal Ruffo per ottenere un salvacondotto, al rientro di Ferdinando IV, esautorato il Cardinale, partirono i processi per tradimento. Sugli ottomila prigionieri solo sei vennero graziati, mentre ben 124 furono condannati a morte: tra questi anche Gennaro Serra di Cassano. Secondo la tradizione, morì dicendo al boia, di fronte alla folla estasiata per l’esecuzione: “Ho sempre desiderato il loro bene, ed essi gioiscono della mia morte”.

È dunque da quel 20 settembre 1799, data dell’esecuzione del principe, che il portone del Palazzo Serra di Cassano, posto “di fronte” al Palazzo Reale, rimane chiuso, in segno di lutto e opposizione al regime borbonico.

Giuseppe Mennea

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