Nell’ampia filmografia dell’oramai celebre Paolo Virzì, risulta difficile decretare quale pellicola sia p
iù meritevole; i suoi film, infatti, da “Ovosodo”, passando per “La pazza gioia”, sino a “Siccità”, appaiono contraddistinti da un’anima di realismo e quotidianità, in cui i protagonisti si ritrovano a far fronte a crisi esistenziali anche meno evidenti, lutti e, più in generale, alla vasta gamma di esperienze e sentimenti che, in quanto umani, si sperimentano; in particolare in “Tutti i santi giorni” (2012) Guido (Luca Marinelli) e Antonia, sono due personaggi che devono costantemente fare i conti con la loro instancabile ricerca di felicità. Antonia, infatti, è un’aspirante cantante, costretta però ad un impiego che non lascia spazio al suo talento; Guido lavora come portiere di notte in un albergo, nonostante la laurea in lettere classiche e la notevole preparazione in agiografia protocristiana.
Ciò che, tuttavia, sconvolge la loro vita di precari a lavoro ma saldi nella lotta contro il quotidiano è la difficoltà nell’avere un figlio, tanto desiderato come fonte di nuova vita e speranze, ma che, malgrado i numerosi consulti medici, pare non volere arrivare.
Si tratterà, dunque, del motivo scatenante di una crisi più profonda per i due: crisi individuale per Antonia, convinta di essere un’incapace sotto ogni aspetto; crisi di coppia per Guido, desideroso di preservare la loro unità, benché a tratti messa a dura prova dall’amata.
Il film, concentrato al pari di altri di Virzì su quanti lottano in attesa del loro sol dell’avvenire (di cui è emblema “Tutta la vita davanti”) e segnato da venature malinconiche, si aggiudicò numerose candidature a premi cinematografici e ottenne il David di Donatello e il Ciak d’oro per la migliore canzone originale.
Si possono, inoltre, rintracciare degli interessanti parallelismi, casuali o forse sintomo di un’ispirazione, con un racconto di Italo Calvino, contenuto nella raccolta “Gli amori difficili”, tanto semplice quanto commovente: Elide e Arturo, due operai con turni opposti (proprio come i due personaggi di Virzì), condividono una vita tenera, piena d’amore e sacrifici, all’insegna dell’attesa e ricerca reciproca. Tale sezione dell’opera di Calvino, tuttavia, non proponeva una narrazione intima e introspettiva, bensì una denuncia dei ritmi alienanti del lavoro in fabbrica, che impediscono di godere a pieno di chi si ama.
Maria Elide Lovero