Nel secolo scorso, durante una campagna archeologica nell’Iraq del sud, il ricercatore statunitense Edgar J.Banks trovò una particolarissima tavoletta d’argilla, lunga 13 cm e alta 9 cm, che fu denominata Plimpton 322 e la cui scritta risaliva a una pericope di tempo compresa tra il 1822 e il 1762 a.C.
Incosapevole del valore di una simile testimonianza del mondo babilonese, l’archeologo vendette per soli dieci dollari la tavoletta a George Plimpton (da cui prese il nome la tavoletta), che a sua volta volle donarla alla Columbia University durante gli anni trenta. Tuttavia, soltanto nel 2017il Dottor Mansfield e il Professor Norman Wildberger, ricercatori presso l’Università del Nuovo Galles del Sud di Sidney, hanno decifrato per la prima volta completamente il reperto dell’età di Hammurabi. Grazie a tale studio, si è scoperto in modo inaspettato che l’invenzione della trigonometria va attribuita ai Babilonesi e non, come erroneamente si è creduto per millenni, ai Greci. Difatti sul supporto scrittorio appaiono disposte in 4 colonne e 15 righe le formule alla base della trigonometria, scritte in caratteri cuneiformi. Mansfiel ha affermato: ”La nostra ricerca rivela che la tavoletta Plimpton 322 descrive le forme dei triangoli ad angolo retto utilizzando una nuova tipologia di trigonometria basata sui rapporti. È un lavoro matematico affascinante che dimostra un indubbio genio”. La scoperta ha rivelato non solo una datazione di gran lunga anteriore delle antiche nozioni matematiche, ma anche delle nuove. Wildberger, uno degli autori dello studio, ha dichiarato: ”Con Plimpton 322 abbiamo una trigonometria più semplice e accurata che presenta chiari vantaggi rispetto alla nostra”. Dunque, diviene possibile apportare miglioramenti alla matematica moderna, poichè il sistema di calcolo babilonese contava in base 60 e non 10, permettendo di avere molte più frazioni esatte.
Siamo dinnanzi all’ennesimo episodio in cui il recupero e la valorizzazione del mondo antico conducono a un progresso, contrariamente a quanto sancirebbe il pensiero oggi dilagante dell’inutilità degli studi antichistici e umanistici.
Maria Elide Lovero