Lo scorso 8 dicembre è andato in onda in seconda serata e in prima visione su Rai 3 “Le mie poesie non cambieranno il mondo” il documentario di Annalena Benini e Francesco Piccolo su Patrizia Cavalli. È il ritratto di una delle maggiori poete italiane, scomparsa nel 2022 durante la post-produzione del film, che ha incarnato la modernità della poesia italiana contemporanea. Il documentario, che custodisce la sua ultima intervista, si ambienta nell’intorno della casa di Cavalli, raccoglie un repertorio di filmati d’archivio di alcuni reading delle sue poesie o vecchie interviste.
Al suo arrivo a Roma (da Todi, nella provincia umbra), la poeta si ricorda come “goffa e ridicolissima e assolutamente sola”. A proposito del famoso Sessantotto, invece, dice di essersi sentita in colpa perchè non si preoccupava di politica quanto piuttosto di poesia.
Seduta su una poltrona, ci ha impartito anche (e ancora) lezioni d’amore. “Ho sempre aspettato quel momento in cui nessuno dichiara, ma tutti e due dichiarano (…) Cosa c’è di più bello quando sai che una cosa è e non la fai avvenire?”
Patrizia Cavalli rivive in questo documentario dalle pretese ironico, ma che risulta per lo più mediocre e sminuente nei confronti del grande portato umano della poeta. Il suo disagio e il disappunto l’hanno anche spinta a chiedere di interrompere la messa in scena del “confronto” tra lei e sua moglie Diane. Una clip che, se la Cavalli fosse ancora in vita, avrebbe considerato umiliante.
Alla fine mi sento di dire che gli autori hanno sprecato un’occasione nel celebrare l’autrice solo nella malattia e nella senilità. La regista francese Céline Sciamma con un documentario di soli sedici minuti (“This is how a child becomes a poet”) in cui si limita a riprendere gli interni dell’appartamento romano di Cavalli è riuscita a raccontarla con più intimità ed efficacia l’essenza autentica della poeta.
Sofia Fasano