Durante il ventennio fascista (1922-1943), il regime di Benito Mussolini intraprese una campagna per rimodellare le tradizioni natalizie italiane, cercando di eliminare elementi considerati estranei alla cultura nazionale e promuovendo usanze ritenute più autenticamente italiane.
L’opposizione all’albero di Natale
Il fascismo mostrò una chiara avversione verso l’albero di Natale, considerato un’usanza di origine nordica e protestante, introdotta in Italia per imitazione di modelli stranieri. Il regime lo percepiva come un elemento estraneo alla tradizione cattolica italiana, che privilegiava invece il presepe. Di conseguenza, l’albero di Natale fu scoraggiato in favore di rappresentazioni più tradizionali della Natività.
La “Befana Fascista”
Per consolidare il consenso popolare e promuovere l’immagine del regime come benefattore del popolo, nel 1928 fu istituita la “Befana Fascista”, successivamente denominata “Befana del Duce” o “Natale del Duce”. Questa celebrazione, fissata per il giorno dell’Epifania, prevedeva la distribuzione di doni ai bambini delle famiglie meno abbienti, sottolineando l’impegno del fascismo nel sostenere le classi popolari.
La riscoperta delle tradizioni romane
Il regime fascista cercò di legittimare il proprio potere attraverso la riscoperta e la celebrazione delle glorie dell’antica Roma. In questo contesto, festività come il “Natale di Roma”, che commemorava la fondazione della città il 21 aprile, furono promosse con grande enfasi, nel tentativo di creare una continuità ideale tra l’Impero Romano e il fascismo.
Attraverso queste iniziative, il fascismo mirava a costruire un’identità nazionale omogenea, epurata da influenze straniere e radicata in una visione idealizzata del passato italiano. Le modifiche alle tradizioni natalizie rappresentarono un aspetto di questa più ampia strategia culturale, volta a plasmare la società secondo i principi e gli ideali del regime.
Francesco Saverio Masellis