“Like I’m playing a supporting role in my own life.” (“Come se stessi recitando un ruolo da non protagonista nella mia stessa vita.”)
Ambientato nella Oslo dei nostri giorni, “La persona peggiore del mondo” è uno dei migliori film “coming of middle age” degli ultimi anni.
Una rom-com moderna per chi si trova in quel limbo che è l’età compresa tra i venticinque e i trent’anni, ha crisi d’identità e si cruccia per il peso del passare del tempo. Un arco generazionale tormentato dall’angoscia per le pressioni sociali e le aspettative del mondo. La paura del cambiamento e del prendere delle decisioni “da adulti”, la smaniosa e vaga ricerca di qualcosa o qualcuno che possa rendere entusiasmante e significativa la propria vita sono tutti aspetti che attanagliano la vita di Julie, la protagonista del film. L’insoddisfazione di sé, il continuo reinventarsi e la conseguente delusione la caratterizzano. Il film è al contempo un dramma esistenziale in cui Julie abbandona la sua stabile relazione amorosa per una nuova e indefinita esperienza, metafora per chi rinuncia a ciò che ha per qualcosa di nuovo per sfizio, per poi scoprire di non potervi fare ritorno e di non poter riavere ciò che si è lasciato.
È facile rispecchiarsi in Julie per il suo essere così reale al di fuori di qualsiasi personaggio fintamente disfunzionale ampiamente raccontati in diversi recenti film.
Presentato al Festival di Cannes 2021 dove Renate Reinsve ha vinto il premio come miglior attrice, il film ha poi ottenuto la nomination all’Oscar come miglior film internazionale l’anno seguente e il successo è stato clamoroso.
Sofia Fasano