Nelle campagne a confine tra Giovinazzo e Bitonto sorge un particolare esempio di architettura religiosa rurale, un tempo al centro di un vasto casale di cui oggi non rimane traccia. Stiamo parlando della Torre Santa Croce, un’antica chiesetta del X secolo ormai ridotta a rudere.
La struttura sorge in una traversa della provinciale 55, che collega Molfetta a Bitonto, abbastanza oltre l’incrocio con la provinciale 107 Giovinazzo-Terlizzi. Si può scorgere l’antica chiesetta all’interno di una vastissima cocevola, all’interno della quale la piccola struttura spicca, circondata da pochi ulivi.
L’edificio riprende lo schema della chiesa con cupola in asse e copertura a chiancarelle, ricordando da vicino le vicine San Basilio e Sant’Eustachio. La particolarità della chiesa è che condensa sia la funzione religiosa che quella difensiva, poiché all’originario edificio venne aggiunta, nel corso del XV secolo, una torre di vedetta. Da questo punto di vista, Santa Croce è anche simile alla chiesa di Santa Maria di Cesano, a Terlizzi.
Secondo le fonti, la chiesa sorge nei pressi di un antico insediamento appulo del IV secolo a.C., poi venuto meno con la centuriazione romana. In epoca augustea, la zona divenne un praedium, che venne destinato a tale legionario Cassius, che deteneva altre proprietà in Puglia.
Nelle cronache bitontine, in particolare “De Origine er aedificatione Botonti”, si parla di un casale o villaggio che qui doveva essere presente, indicato in altri documenti come Casa Jani o Civisciani. Pare che nelle strette vicinanze ci fosse anche un laghetto che rendesse i terreni particolarmente fertili.
Nel XVII secolo, l’area venne acquistata dalla famiglia Bove, originariamente Bovio e proveniente da Ravello. Probabilmente fu la famiglia Bove a modificare parzialmente la struttura, in quanto la copertura a chiancarelle appare sostituita da tegole e all’interno si scorgono tracce di affresco che nulla hanno a che vedere con l’epoca medievale.
Ad oggi la chiesetta è abbandonata e usata come saltuario deposito di materiale agricolo.
Giuseppe Mennea