Il 9 maggio 1921 debuttava al Teatro Valle di Roma “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi
Pirandello, spettacolo che si configurava come il primo capitolo di un trittico noto come “trilogia del teatro nel teatro”, seguito da “Ciascuno a suo modo” e “Questa sera si recita a soggetto”, messi in scena rispettivamente 3 e 9 anni più tardi. Nella serata di esordio dell’opera, i commedianti udirono le critiche di un pubblico visibilmente scandalizzato, che urlava “Manicomio! Manicomio!”, “Buffone!”, per il soggetto così bizzarro e singolare che Pirandello rischiò l’aggressione. Un padre, una madre, il figlio, la figliastra, il giovinetto e la bambina, personaggi rifiutati dallo scrittore che li ha concepiti, vanno alla ricerca di un autore che li accetti, tanto da domandare al Capocomico di dare loro vita artistica e di rappresentare il loro dramma, nel tentativo vano e sofferente di raccontare un’esistenza dolorosa dalle venature tragiche.
Il pubblico miope della prima non comprese il geniale tentativo di svelare la magia della creazione artistica, la relazione tra persona e personaggio, calati in un processo di disintegrazione dello spazio teatrale.
«Il pubblico del Manzoni ha accolto trionfalmente questa strana commedia ch’è, indubbiamente, un’opera d’arte di una originalità rara», afferma Marco Praga (in “Cronache teatrali”, Treves, Milano, 1921), dopo aver assistito al medesimo spettacolo nel Teatro Manzoni di Milano, con la compagnia di Dario Niccodemi, nel settembre dello stesso anno.
L’autore, infatti, a partire da quel clamoroso insuccesso, verrà sempre più apprezzato, sino ad essere insignito dall’Accademia di Svezia del Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, in segno di riconoscimento “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”; sorprendentemente, al momento del ritiro del Nobel, il poeta, drammaturgo e scrittore rimase in silenzio, senza pronunciare neanche una parola di ringraziamento o soddisfazione, allo scopo di evitare la menzione del Fascismo, che in quegli anni dominava in Italia e di cui Pirandello non ne abbracciava l’ideologia. Egli, tuttavia, non assistette all’ulteriore affermazione di Mussolini, essendo morto nel dicembre del 1936, all’età di sessantanove anni, dopo aver composto capolavori rivoluzionari della letteratura italiana, riconosciuti come tali a livello mondiale, fra i quali spiccano “Il fu Mattia Pascal”, “Uno, nessuno e centomila”, “Enrico IV” e “Così è, se vi pare”.
Maria Elide Lovero