È uno dei simboli della città di Monopoli assieme allo splendido porticciolo, e domina la cittadina con la sua mole, rappresentando uno dei palazzi nobiliari più importanti dell’intera Puglia. È il celebre Palazzo Palmieri, enorme residenza con più di cento stanze che si trova nell’esatto centro della città vecchia, sull’omonima piazza.
L’edificio venne realizzato su commissione della famiglia Palmieri, di origine francese e stabilitasi in Puglia e poi a Monopoli fin dal Cinquecento. Nella specie, l’edificio venne realizzato nel corso del Settecento per conto di Francesco Paolo Palmieri, andando a modificare le precedenti strutture ivi presenti (da cui dipende l’irregolarità della facciata e della disposizione interna degli ambienti).
Lo schema riprende quello dei palazzi aristocratici napoletani, e l’influsso del capoluogo campano si nota anche nell’atrio, osservando lo splendido scalone monumentale che si sviluppa su ben quattro livelli con altrettanti loggiati. Si nota, ovviamente, anche l’influenza del barocco leccese, di cui il palazzo riprende la ricchezza anche in facciata.
L’edificio rimase di proprietà della famiglia Palmieri fino al 1921, quando l’ultimo erede, il marchese Francesco Saverio, morì senza discendenza. Questi, quindi, donò la sua immensa dimora alla Congregazione della Carità, disponendo che divenisse sede di una scuola d’arte e mestieri. Fu così che all’interno dell’edificio settecentesco trovò sede l’Istituto Statale d’Arte, che vi rimase fino al 1990.
A seguito di discordie tra la Curia Vescovile e l’IPRAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza) “Romanelli-Palmieri”, l’immenso palazzo è rimasto poi a lungo inutilizzato e in stato di sostanziale abbandono, con grave danno anche per la staticità dell’edificio. Solo nel 2016 è stato finalmente riaperto al pubblico dopo 26 anni. Ad oggi ospita ormai annualmente le esposizioni del Phest, il Festival di Arte e Fotografia.
La facciata presenta una fascia di bugnato inferiore e un cornicione in pietra calcarea che accoglie lo stemma del casato all’interno di un oculo chiuso, posto al centro tra due ampie finestre esattamente sopra il portale principale. Questo è a sua volta cinto da mensoloni che sorreggono l’unica balconata del palazzo, posta centralmente nella facciata.
L’atrio rettangolare, come detto, accoglie lo scalone d’onore, che consente l’accesso al piano nobile. Questo, posto al di sopra di un ammezzato, conserva pregevoli affreschi settecenteschi, che raggiungono il massimo della ricchezza all’interno di un salone-galleria, originariamente pensato per conservare una collezione di quadri. Su questo vasto ambiente, il più grande dell’intero edificio, si affaccia anche una piccola cappella privata, che conserva un altare e una cornice in stucco.
Il palazzo ospita anche saltuariamente produzioni cinematografiche, ad esempio è la sede della Questura nella serie di Lolita Lobosco.
Giuseppe Mennea