La corrida rappresenta una pratica culturale ancora viva e sentita in svariati paesi quali, ad esempio, Spagna, Francia, Portogallo, Messico, Perù, Venezuela, Costa Rica, Panama ed Ecuador. Essa affonda le sue radici in tempi antichissimi e, infatti, un antecedente culturale è rintracciabile nella tauromachia (ταυρομαχία, composto di ταῦρος «toro» e μάχη «battaglia»), costume rituale diffusosi a Creta e in Grecia, che prevedeva combattimenti tra bovini, cui spesso prendevano parte uomini o altre tipologie di animali. Le fonti suggeriscono una datazione collocabile intorno al II millennio a.C. e, attraverso una staffetta culturale, il termine cominciò ad identificare la corrida contemporanea.
Anche l’attenzione della Chiesa cattolica fu attirata dal fenomeno in rapida diffusione nel mondo moderno, tanto che Papa Pio V nel 1567 aveva decretato che coloro che avessero preso parte alle corride sarebbero stati puniti per mezzo di una scomunica, come stabilito dalla bolla di sua paternità “De salutis gregis dominici“; tuttavia, soltanto trent’anni dopo papa Clemente VIII rettificò tale provvedimento.
Dal punto di vista antropologico il toro è intrinsecamente legato alla figura del dio Dioniso, chiamato appunto anche con gli epiteti “con forma di toro” e “generato da una vacca”; non a caso egli era associato ad animali quali il toro, la pantera, l’asino e la capra, spesso sacrificati nei riti dionisiaci, nel quadro di feste e celebrazioni del mondo antico occidentale.
Al giorno d’oggi, però, la corrida risulta per molti uno spettacolo di cattivo gusto, privo di etica ed evidentemente anacronistico, visto il crudele trattamento riservato agli animali coinvolti: essi, dopo il taglio delle corna, entrano nell’arena con una lama già conficcata nel dorso, coperta da un nastro, al fine di far apparire feroce un toro laddove è straziato dal dolore. Nelle fasi prima dello show, inoltre, i testicoli dell’animale vengono presi a calci e viene indotta una persistente dissenteria per mezzo di solfati disciolti nell’acqua in cui si abbevera. Si tratta di solo alcuni degli atroci step cui viene sottoposto un toro, volti ad esaurirlo fisicamente e psicologicamente per preservare l’incolumità del torero. Al termine del combattimento, le carcasse vengono portate in una macelleria presente nell’arena stessa, dove sono predisposte alla vendita come “carne de lidia”; essa gode soprattutto in Spagna di grande considerazione giacché è un ingrediente primario in ricette tipiche.
Dopo il divieto di praticare la corrida in Brasile e Argentina, ha avuto notevole risonanza la notizia che martedì 28 maggio il parlamento colombiano ha approvato un disegno di legge che vieta i cruenti scontri. La legge, proposta e rifiutata 14 volte nel corso dei governi precedenti, è stata approvata con 93 voti favorevoli e 2 contrari, ma per entrare in vigore dovrà essere firmata dal presidente Gustavo Petro, il quale del resto si è sempre dichiarato intenzionato ad abolirla. Difatti durante il suo mandato da sindaco di Bogotá fra 2012 e 2015 vietò tale pratica.
La legge prevede in aggiunta un periodo di tre anni in cui coloro che sono impiegati nel settore trovino un nuovo lavoro. L’abolizione sarà di conseguenza definitiva dal 2027 quando entrerà in vigore la suddetta legge. Il presidente Petro ha evidenziato l’importanza del “fare in modo che la morte non sia più uno spettacolo” e ha asserito che “chi si diverte con la morte degli animali finirà per divertirsi con la morte degli esseri umani; così come chi brucia i libri finirà per bruciare gli esseri umani”. Le arene verranno presto riconvertite in luoghi di cultura e benessere in cui potranno ottenere un impiego tutti coloro che vi lavoravano con diversa mansione.
L’approvazione della legge ha comunque suscitato critiche per via della trasformazione culturale, economica e sociale che comporterà, le quali sono state parzialmente sedate dal brillante progetto di riconversione degli spazi. Tale evento può interpretarsi come un passo significativo in un processo di riconoscimento della vita animale, di cui frequentemente non si rispetta la dignità di essere senziente.