IL PLACET DEL SINDACO ALLA COSTRUZIONE DI UN TRABUCCO IN CALA CROCIFISSO E’ SEGNO DI UNA EVIDENTE TURISTICIZZAZIONE DI GIOVINAZZO

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Un altro insediamento a carattere turistico-ricettivo sulla fascia costiera di ponente e tutto il lungomare di Giovinazzo, dal porto alla Trincea, sarà un susseguirsi di strutture balneari, di chioschi, di punti di intrattenimento e locali di ristorazione, ad ampio raggio. L’ultima cessione della demanialità marittima ha avuto il deliberato assenso dell’organo di governo, mediante l’atto di Giunta, n.110 del 19 giugno scorso, con cui è stata affidata al Dirigente della 3^ Direzione, “Sezione Demanio”, l’incombenza ad attivare la procedura per il rilascio dell’ennesima concessione di territorio marittino, in località Cala Crocifisso. La richiesta ad acquisire, come privativa, la zona demaniale, censita al SIM come part. n. 1953 del F. 2, è stata avanzata, appena due mesi fa, al Sindaco da una indecifrabile Associazione, dall’accativante titolo di “Belvedere”, e che ha l’obiettivo di impiantare in quell’area un trabucco, vecchio congegno di legno, attrezzato per la pesca senza barca. Non c’è voluto molto perchè il dott. Sollecito si facesse carico di detta aspettativa e coinvolgesse, con insolita immediatezza, la Giunta perchè si potesse concordare, collegialmente, con quanto prospettato dalla Associazione richiedente. E’ bastato così poco tempo, dunque, per prendere la decisione di avallare il proposito di insediare, in area demaniale, un consistente manufatto di legno, a mò di trabucco. Erano denominate così le strutture installate in accosto a una scogliera rocciosa, che tempo addietro, servivano per la pesca, essendo costituite da una piattaforma sporgente in mare aperto con due o più bracci cui era legata una rete a maglie strette, nota come trabocchetto. Un articolato sistema di argani, poi, permetteva di immergere la rete in acqua e, quindi, a distanza di tempo, tirarla su con il pescato intrappolato.

Mancava un insediamento di questo genere, da destinare, chiaramente, non ad attività di pesca, ma a punto d’incontro sociale e culturale e di attrattiva paesaggistica, per considerare ormai Giovinazzo turisticizzata a tutto punto.

Infatti, il sovrapporsi di così molteplici impianti a forte propensione turistica, specificatamente su tutta la fascia costiera, oltre che all’attivazione diffusa di posti di ospitalità, non sempre, per la verità, di una certa qualità, ritengo stiano producendo una radicale trasformazione urbana, sicuramente, voluta dalle forze politiche, ormai al comando della città da oltre un decennio, ma che, comunque, sfugge al loro controllo.

Ed è grave che non ci si accorga del sostanziale condizionamento esistenziale e della sopraffazione che la comunità residente è costretta a sopportare a causa di un flusso di gente, per lo più di prossimità e occasionale, in gran parte attratta dagli svariati eventi musicali che continuamente si organizzano e da quanto offrono i gestori dei locali commerciali e dei siti balneari.

Non sarebbe male che, a questo punto, la stessa autorità di governo s’interroghi per capire quali siano gli effetti di questa consistente affluenza di visitatori e villeggianti ad horas sulla qualità della vita cittadina, sulla sicurezza individuale e collettiva e, soprattutto, in che termini incidano sull’assetto ambientale gli insediamenti di tante strutture ricettivo-turistiche e di ristorazione, in assenza di una specifica disciplina pianificatoria. Non si può, infatti, negare che tutte quante le concessioni marittime sono state rilasciate senza che ci sia un piano delle coste approvato, la cui rivisitazione è stata affidata, ancora una volta, a dicembre 2022, all’arch. Maffiola (D.D. n.174/2022) e di cui non si conoscono gli esiti del suo lavoro.

Ed è questa la ragione per cui ho inteso definire il processo di trasformazione sociale in atto come turistificazione con accezione prevalentemente negativa. Potendo intravvedere, appunto, che l’intensivo flusso turistico, del tutto precario e di circostanza, che dette strutture richiamano, se considerato il più importante apporto all’economica della città, si rivela essere anche una speculazione che finisce per stravolgere gli aspetti paesaggistici del nostro territorio e la stessa popolazione locale per il riflesso danno sociale che sopporta, a mala voglia. Basta sentire i mugugni e le rimostranze che si registrano in giro per essere indotti a fare una riflessione consapevole di quello che sta accadendo e del decadimento della qualità della vita che cominciano ad avvertire i cittadini stessi, costretti a pagare, a loro spese, la presenza nutrita di un certo genere di visitatori. 

La particella n. 1953, circoscritta in giallo, della Zona demaniale chiesta in concessione dall’Associazione “Belvedere” per la costruzione del trabucco in località Cala Crocifisso.

 

 

Non sarebbe certo di questo avviso il dott. Sollecito, per quanto mi è parso di cogliere dalla sua stravagante esposizione, fatta nella seduta di Giunta del 19 giugno scorso, ai suoi Assessori, per convolgere loro a prendere in considerazione, in forma collegiale, la proposta dell’Associazione “Belvedere”, manifestamente interessata a costruire una grande piattaforma in legno in Cala Crocifisso ad uso prettamente turistico-ricreativo e, perché no, anche per un servizio di balneazione. E, di fatto, con quella sua lunga relazione ha inteso non solo dare illustrazione circa la caratteristica costruttiva degli ingegnosi manufatti atti alla pesca senza barca, qualcuno di questi ancora rinvenibile lungo il medio Adriatico. Piottosto, facendo sfoggio di alcuni richiami di nota storica della città, il Sindaco ha, perfino, lasciato intendere che in passato fosse presente un trabucco anche a Giovinazzo. Una realtà che, a suo dire, avrebbe concorso a conferire valore identitario al paesaggio marinaro dell’antico borgo di Juvenatium.

Tutto questo per giustificare la scelta politica che veniva a formalizzarsi con il deliberato giuntale di approvazione, evidenziandone la valenza storica di una tale decisione, esclusivamente dettata dall’interesse al recupero costruttivo di un antico impianto di piattaforma su palizzata, ascrivibile a un lontano passato cittadino.

Trovo doveroso, invece, far rilevare che non si ha alcuna notizia certa circa l’esistenza a Giovinazzo di un trabucco, o qualcosa di simile, né si hanno riscontri, di valida ragione, per affermare che anche sulla nostra scogliera potesse esserci stata una piattaforma palizzata da servire per la pesca. E’ appurato, invece, che le strutture in questione, all’origine, servivono come punto di approdo per il carico e scarico di provviste, provenienti via mare e dirette ad alcune comunità insediatesi non molto distante dalla riviera adriatica ma in zone spovviste di insenature e o di cale atte a funzionare come riparo di barche di piccolo cabotaggio. Ma, queste si rivelarono, ben presto, se adattate, utili anche per consentire di pescare senza dover disporre appunto d’imbarcazioni di cui dette popolazioni erano prive, perchè insediate in territori di mare che non consentivano il ricovero di natanti da pesca per proteggerli dai marosi. E, a dar credito a questa ipotesi è il riscontro che le strutture, di cui si parla, sono state notoriamente rilevate e censite nella zona rivierasca sud delle   Marche e soprattutto nei tratti di costa abruzzese dello chietino, del Molise e alla radice del promontorio del Gargano. Zone queste completamente prive di scali portuali o di anse naturali ove poter sviluppare, sia pure in forma limitata, un’ordinaria attività di pesca. A queste limitazioni sopperivano i trabucchi utilizzati per l’approvviggionamento diretto di prodotti ittici, alcuni dei quali ancora si conservano proprio nelle zone marittime intermedie tra le località portuali di Ancona – San Benedetto, di Ortona – Porto di Vasto, di Termoli-Manfredonia, scali marittimi ove, da sempre, hanno operato molteplici compagnie di pescatori e naviganti.

Non sembra in alcun modo comprensibile, pertanto, che a Giovinazzo ci fosse bisogno di un trabucco da pesca se il centro antico, per la sua conformazione, a sperone sul mare, costituiva di per sé un bacino naturale che funzionava efficieacemente come porto con una moltitudine di abitanti dediti alla pesca con proprie barche e che abitavano proprio nei caseggiati di torno all’insenatura portuale.

Piuttosto, chi era amante della pesca e voleva provvedere da sé a fornirsi di risorse del mare si attrezzava con il cosiddetto “u′ resacchie”, la famosa rete a mano da pesca che veniva buttata in mare dall’operatore che si inoltrava in acque di una certa profondità.

Questo per dire che, realisticamente, Giovinazzo è, irrimediabilmente, turisticizzata. E, dunque, non poso fare a meno di chiedere: a quale cultura del turismo si mira, quale cultura del nostro patrimonio storico, quale cultura dell’ecosistema si vuole se si è giunti, perfino, a decidere di dover ripristinare il trabucco su palafitta, additandolo quale realtà indentitaria del nostro storico paesaggio marinaresco?

Giuseppe Maldarella

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