Nella vicina Ruvo di Puglia, cittadina dell’area murgiana, sorge un capolavoro tutto pugliese, risultato della lungimiranza di antichi personaggi che furono capaci di mantenere e tramandare un patrimonio inestimabile. Stiamo parlando del Museo Jatta, che ha sede nell’omonimo Palazzo, nella centralissima Piazza Bovio.
Il museo sorge nel 1842, quando fu costruito da Giovanni Jatta senior e dalla cognata Giulia Viesti il Palazzo Jatta, splendida residenza dell’importante famiglia, su progetto dell’architetto Luigi Castellucci di Bitonto. Ma la storia della collezione è anche anteriore. I ritrovamenti di reperti antichi, infatti, erano a Ruvo assai frequenti, ma poco o nulla si conservava, poiché ciò che interessava era solamente l’oggettistica in oro e altri metalli preziosi.
Fu grazie alle personalità della famiglia Jatta che si intuì il valore dei reperti, perlopiù vasellame e anfore, che nel tempo finirono per essere apprezzati anche dalle case reali europee. La lungimiranza degli Jatta, interessati a mantenere a Ruvo ciò che qui era rinvenuto, evitò che si perpetrasse la stessa tragedia che poi si verificò a Canosa, laddove i pezzi più importanti, rinvenuti in scavi più o meno clandestini, vennero immessi sul mercato nero per arricchire le collezioni di mezzo mondo.
Proprio per evitare lo smembramento della collezione, gli Jatta organizzarono vere e proprie campagne di scavo nei terreni di loro proprietà, che andavano avanti di giorno e di notte per evitare il saccheggio dei tombaroli. L’importanza della collezione crebbe via via col proseguire delle scoperte, tanto da attirare l’attenzione dei sovrani francesi e di Napoli, che volevano rispettivamente acquistare la totalità dei reperti.
Ma la costruzione del Palazzo evitò quest’eventualità, e lo stesso Castellucci ebbe incarico di prevedere nel progetto un’intera ala del pianterreno da dedicare al museo. Questo, posto di fronte alla biblioteca di famiglia, mantiene ancora oggi l’assetto ottocentesco, con i reperti divisi più per valenza estetica che per datazione.
In totale, il percorso si sviluppa per quattro ambienti, recentemente restaurati. La prima sala accoglie le terrecotte, quindi perlopiù vasellame non figurato o del tutto privo di decorazioni, come vasi di produzione indigena, reperti a decorazione geometrica, statuette fittili.
Le stanze seguenti, invece, conservano reperti via via più importanti. Tra questi, in particolare, si segnalano il cratere della strage dei Niobidi, il cratere del ratto delle Leucippidi e il cratere del giardino delle Esperidi.
Ma è l’ultima sala ad ospitare i capolavori assoluti della collezione, al centro dei quali figura il preziosissimo vaso di Talos. Sulla superficie del cratere è rappresentata la scena di Giasone e gli Argonauti, giunti a Creta durante il viaggio per la conquista del vello d’oro. Qui si scontrano e uccidono il gigante Talos, che è raffigurato morente in bianco (ed è questa la rarità che rende così prezioso il reperto) al centro di tutta la scena. Lo splendido cratere è attribuito al Pittore di Talos, attivo ad Atene tra il 420 e il 400 a.C.
La visita a questo museo è un consiglio a tutti gli appassionati dell’antichità e della storia locale, e può essere un valido espediente per occupare queste calde giornate estive. Si rimanda al sito web dell’istituzione per le informazioni su orari di apertura e costo dei biglietti.
Giuseppe Mennea