In Irpinia sorge un antico paese, che affonda le sue radici in epoca romana, in cui il tempo sembra essersi fermato. E ciò perché la cittadina risulta abbandonata da oltre quarant’anni. Stiamo parlando di Apice Vecchia, considerata da alcuni la “Pompei del Novecento”. In questo articolo analizzeremo la sua storia.
Pare che a fondarla fu Marco Apicio, comandante romano incaricato dal Senato di dividere tra i veterani le terre del Sannio dopo le vittoriose campagne militari svoltesi in quei luoghi. Il centro sorse a poca distanza da Benevento, in cima a uno dei colli che abbondano nella zona. Il territorio risultava essere molto fertile, solcato da alcuni fiumi come il Calore Irpino, l’Ufita e il Miscano. Il centro romano era anche lambito dal tracciato della Via Appia.
In epoca medievale fu teatro di scontri tra i beneventani e i Normanni, conflitti che caratterizzarono anche il periodo angioino. Per provare a ribellarsi alle varie dominazioni, in particolare a quella spagnola, Apice fornì il suo aiuto alla causa di Masaniello nel 1647. Fu colpita da un primo terremoto nel 1702.
Ma è nel Novecento che si trova la causa dell’abbandono della cittadina. La sera del 21 agosto 1962, infatti, si susseguirono due forti scosse di terremoto, di grado sesto e settimo della scala Mercalli. La scossa interessò l’intera Irpinia, uccidendo 17 persone. Il Ministero dei lavori pubblici, quindi, ordinò per Apice l’evacuazione degli abitanti, che all’epoca ammontavano a circa 6500.
Questi, quindi, si spostarono in massa nel nuovo centro abitato, sorto sull’altra riva del fiume Calore: coloro che avessero ceduto la propria abitazione nel vecchio centro al Comune avrebbero potuto fruire gratuitamente di una casa nel nuovo paese, che venne chiamato Apice Nuova.
Pochi coraggiosi che non volevano o potevano spostarsi decisero di rimanere nel centro storico, seppur pericolante. Ma diciotto anni dopo, il tristemente noto terremoto del 1980 costrinse il resto della popolazione a lasciare Apice Vecchia per sempre. Fu così che il paese venne definitivamente abbandonato.
L’azione dei due diversi eventi sismici si può riscontrare nella fisionomia del borgo: questo si sviluppa attorno al cosiddetto Castello dell’Ettore, oggi pienamente recuperato e utilizzato come sala ricevimenti. La parte di paese tra il castello e la piazza principale risulta essere quella abbandonata più tardi, e si mantiene in condizioni pressocché buone. La parte più lontana, invece, essendo stata abbandonata vent’anni prima, risulta essere in assoluta decadenza, con case crollate e vegetazione a farla da padrone.
Ciò nonostante, si notano i resti di disparate attività commerciali dell’epoca, come studi medici, macellerie, bar, officine, la maggior parte ancora con gli attrezzi dell’epoca. Numerosi sono anche i veicoli abbandonati, tra cui un vecchio calesse e un furgone.
Ma ciò che colpisce maggiormente il visitatore è quanto si può osservare nelle varie abitazioni, dalla più umile a quella più sfarzosa. Si tratta di oggetti di tutti i giorni, fotografie, mobili, ricordi che, per necessità, si è dovuto lasciare per fuggire dal pericolo del terremoto.
Sulla piazza principale di Apice, laddove sorgeva anche il municipio, si può infine visitare Palazzo Cantelmo, forse la residenza più importante di Apice, caratterizzata dalla presenza di dipinti su carta con colori perfettamente conservati. Colpisce, ad esempio, il salone principale, con una decorazione realizzata dal Maestro Auciello nel 1932.
Oggi ad Apice si organizzano alcune visite guidate ad opera dei volontari della Pro Loco. La visita in autonomia è fortemente sconsigliata a causa del forte degrado in cui versa il centro.
Giuseppe Mennea