Giovanni Verga, nato a Catania nel 1840, durante la permanenza dapprima a Firenze e poi a Milano, dove risiedette dal 1872 al 1890, entrò in contatto con influssi culturali e letterari variegati: prevalsero, fra questi, gli studi sociologici di Franchetti e Sonnino sulla questione meridionale e l’influenza del naturalismo francese. Nel 1877, infatti, Luigi Capuana, uno dei fautori del verismo, recensì sul “Corriere della Sera” “L’assomoir” di Zola di recente pubblicazione, in cui accoglieva entusiasticamente l’invenzione di una forma adeguata al soggetto. Stimolato da tali innovazioni letterarie, tra il 1878 e il 1880 Verga compose il suo primo romanzo verista, nonché ad oggi più celebre, quale è “I Malavoglia”. Nonostante lo scarso successo iniziale, tanto che Verga in una lettera a Capuana parlava di “fiasco pieno e completo”, l’opera rappresenta un caposaldo della nostra letteratura per via della centralità del tema storico, teso a spesso a denunciare le ingiustizie, tanto storiche quanto universali, in quanto appartenenti a tutti gli uomini di tutte le epoche. La famiglia Toscano, protagonista del romanzo, ancorata ad un modello di società arcaica e rurale, viene rappresentata nella sua lotta per il benessere.
Attraverso gli artifici di straniamento e regressione e l’eclissi dell’autore, l’autore consente ai lettori di calarsi nella realtà di Aci Trezza, paese siciliano in cui è ambientata la vicenda, illustrando una variegata pletora di personaggi. Essi appaiono contraddistinti da spinte antitetiche, chi alla ricerca di progresso, chi di rispetto verso lo status originario: a non essere travolti dalla “fiumana del progresso” sono coloro che vivono secondo l’ideale dell’ostrica, ossequiosi dei valori della tradizione e riluttanti a ricercarne di nuovi. È, infatti, l’irruzione della storia e della modernità a generare le sventure dei Malavoglia.
L’opera ben descrive, quindi, la fase di transizione tra l’età arcaica e la modernità, che si affaccia in Italia nel 1861 a seguito dell’Unità d’Italia, durante la quale gli uomini desideravano migliorare la loro condizione, sfociando talvolta nell’avidità di ricchezze e potere. Tali leggi sociali sono illustrate nel cosiddetto “Ciclo dei vinti”, di cui “I Malavoglia” si configura come il primo romanzo, dove troviamo a seguire “Mastro Don-Gesualdo” ultimato, “La Duchessa di Leyra”, di cui compose solo un capitolo e mezzo, e i mai compiuti “L’onorevole Scipioni e “L’uomo di lusso”. Nonostante le differenze sociali fra le suddette figure, esse risultano accomunate da una crescente preoccupazione di migliorare la propria condizione socio-economica, prive di remore nella “lotta pel benessere”. Viene, inoltre, accentuata la disparità socio-economica fra i personaggi, i quali anticipano le differenze presenti al giorno d’oggi nel mondo, in cui, secondo l’Oxfam, organizzazione non profit dedita a ridurre la povertà globale, otto persone possiedono la stessa ricchezza (426 miliardi di dollari) di 3,6 miliardi di persone. Si rivela, dunque, un romanzo ricco di spunti e stimoli per il nostro presente, carico di complessità decodificabili per mezzo della letteratura.
Maria Elide Lovero