Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 12 settembre 2024, il film “L’ultima settimana di settembre”, che ha visto alla regia Gianni De Biasi, rappresenta una trasposizione sullo schermo dell’omonimo romanzo di Lorenzo Licalzi, edito Rizzoli.
La storia raccontata vede protagonisti Diego Abatantuono nei panni di Pietro, scrittore di successo ormai anziano e stanco di vivere, e il promettente Biagio Venditti, che impersona Mattia, nipote adolescente di Pietro. A colmare la distanza fra i due sarà la tragica scomparsa della figlia di Pietro, nonché madre di Mattia, assieme al marito, a causa di un incidente stradale. Inizialmente si rivela in modo crudo agli spettatori la depressione di Pietro che, infatti, tenta il suicidio il giorno del suo compleanno; tuttavia, la notizia drammatica lo fa rinsanire e lo costringe, in quanto parente più prossimo, ad annunciare al nipote cosa è accaduto e a prendersene cura. Subito il giovane inizia a versare in un baratro di disperazione, dinnanzi a un’esistenza priva di senso e carica di dolore, la cui sola ancora d’amore è rintracciabile nel cane col quale vive simbioticamente: ragione per cui Pietro, a seguito dei suoi tentativi vani di supportare il ragazzo, decide di chiedere aiuto a uno zio di Mattia, pronto a prendersi cura di lui al pari di un padre.
Sarà durante il viaggio verso lo zio che Mattia e Pietro riusciranno a fare i conti col loro dolore, ritrovando, così, un significato nelle loro vite.
I temi che si intrecciano nella narrazione, dall’elaborazione del lutto al tentativo impossibile di condivisione del dolore, dalla difficoltà a superare i propri limiti sino al desiderio di sentirsi capiti, conferiscono una sensibile profondità alla pellicola, arricchita dall’ottima interpretazione dei personaggi sulla scena, capaci di rendere realistiche le vicende, attraverso sublimi silenzi, attese e taciti sguardi.
Nel nichilismo e nella disillusione transgenerazionale dei due protagonisti possiamo rinvenire la sofferenza che per periodi più o meno lunghi accompagna chiunque e le possibilità di rinascita che sono in serbo per tutti.
La storia raccontata vede protagonisti Diego Abatantuono nei panni di Pietro, scrittore di successo ormai anziano e stanco di vivere, e il promettente Biagio Venditti, che impersona Mattia, nipote adolescente di Pietro. A colmare la distanza fra i due sarà la tragica scomparsa della figlia di Pietro, nonché madre di Mattia, assieme al marito, a causa di un incidente stradale. Inizialmente si rivela in modo crudo agli spettatori la depressione di Pietro che, infatti, tenta il suicidio il giorno del suo compleanno; tuttavia, la notizia drammatica lo fa rinsanire e lo costringe, in quanto parente più prossimo, ad annunciare al nipote cosa è accaduto e a prendersene cura. Subito il giovane inizia a versare in un baratro di disperazione, dinnanzi a un’esistenza priva di senso e carica di dolore, la cui sola ancora d’amore è rintracciabile nel cane col quale vive simbioticamente: ragione per cui Pietro, a seguito dei suoi tentativi vani di supportare il ragazzo, decide di chiedere aiuto a uno zio di Mattia, pronto a prendersi cura di lui al pari di un padre.
Sarà durante il viaggio verso lo zio che Mattia e Pietro riusciranno a fare i conti col loro dolore, ritrovando, così, un significato nelle loro vite.
I temi che si intrecciano nella narrazione, dall’elaborazione del lutto al tentativo impossibile di condivisione del dolore, dalla difficoltà a superare i propri limiti sino al desiderio di sentirsi capiti, conferiscono una sensibile profondità alla pellicola, arricchita dall’ottima interpretazione dei personaggi sulla scena, capaci di rendere realistiche le vicende, attraverso sublimi silenzi, attese e taciti sguardi.
Nel nichilismo e nella disillusione transgenerazionale dei due protagonisti possiamo rinvenire la sofferenza che per periodi più o meno lunghi accompagna chiunque e le possibilità di rinascita che sono in serbo per tutti.
Maria Elide Lovero