“Beetlejuice Beetlejuice”: l’ultimo capolavoro di Tim Burton

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Dopo il successo di “Beetlejuice – Spiritello porcello” del 1988, diretto da Tim Burton, che riscosse notevole successo di critica e di pubblico, riportando un incasso astronomico di 84,5 milioni di dollari, è uscito finalmente in Italia l’attesissimo sequel. Dal 5 settembre 2024, infatti, è visibile nelle sale cinematografiche italiane la commedia fantastica dalle venature horror e macabre, che tuttavia non urta la sensibilità degli spettatori, rendendo possibile la visione a una pletora di persone di qualsiasi età, tanto da aver superato i 300 milioni di dollari di introiti.
Il cast assai ricco comprende alcuni degli interpreti originali del primo film, quali Micheal Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara, e delle new entries di grande fama come Monica Bellucci, Jenna Ortega, William Defoe, Justin Theroux e Arthur Conti.
A seguito della sconvolgente morte di Charles Deetz, la famiglia si riunisce nella casa di Winter River, dove Lydia, medium e conduttrice affermata grazie al programma “Ghost House”, cerca di riavvicinarsi alla figlia Astrid, ancora scossa dopo la prematura scomparsa di suo padre e riluttante a credere ai fantasmi. Tuttavia, giunti nella “Casa dei Fantasmi” in cui è conservato il plastico che racchiude il famoso Beetlejuice, una serie di eventi trascineranno la giovane Astrid nel mondo dei defunti e degli spettri, in cui i protagonisti vivranno rocambolesche e tetre avventure. Beetlejuice, una volta risvegliatasi sua moglie Dolores, perseguita nuovamente Lydia nel tentativo di ottenere il lascia passare per il mondo dei vivi, finché il vortice di azioni non avrà un epilogo lieto per alcuni personaggi, drammatico per altri.
Le musiche di Danny Elfman, compositore del primo Beetlejuice, introducono gli spettatori nelle variegate ambientazioni, conferendo alle scene un ritmo coinvolgente, dinamico ed attinente con le diverse vicende che si susseguono sullo schermo. Il racconto dissacrante di Burton suggerisce ai miei occhi di spettatrice il messaggio che, talvolta, sono le vite mortifere che conduciamo ad ucciderci giorno dopo giorno: non a caso i morti dapprima appaiono tristi e increduli del loro trapasso e del distacco dalla vita terrena; poco dopo li vediamo contraddistinti da spinte vitali, ad esempio nell’approssimarsi al treno che li condurrà definitivamente nell’aldilà, tanto da ballare instancabilmente fra mille colori e suoni.
Nell’immaginario del regista i due mondi si intrecciano in molti frangenti, sino a confondersi e sovrapporsi in continui richiami: la pellicola si configura, dunque, come eco del frammento euripideo “Chi può sapere se il vivere non sia morire/ e se il morire non sia vivere. Anche noi, in realtà, forse siamo morti”.
Maria Elide Lovero
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