Le esposizioni etnologiche: una crudele pratica occidentale

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Sino agli anni Cinquanta del secolo scorso venivano praticate diffusamente in Europa e Nord America le cosiddette esposizioni etnologiche, in cui degli esseri umani con caratteristiche fisiche particolari o di etnia diversa rispetto a quella caucasica erano messi in mostra negli zoo umani. Si tratta di una pratica disumana che ebbe inizio a partire dal Rinascimento, volta a soddisfare la curiosità verso culture e fisionomie lontane e tramutatasi presto nella teorizzazione di idee razziste che, specialmente nella stagione del colonialismo, affermavano la superiorità di alcuni popoli su altri. A inizio Cinquecento, ad esempio, l’imperatore atzeco Montezuma II diede vita al giardino zoologico di Montezuma, al cui interno erano allestite esposizioni di animali vari, uccelli e persino umani considerati allora “mostri”, frutto di “errori della natura”: fra costoro comparivano persone contraddistinte da deformazioni fisiche, patologie e particolarità genetiche come l’albinismo. Similmente, la celebre famiglia dei Medici costituì un giardino zoologico al Vaticano: gli storici contemporanei al fenomeno ci informano che Ippolito de’ Medici, oltre ad animali esotici, detenesse persone di provenienza eterogenea, come indiani, tartari e mori.

Sarah Bartman

Nell’Ottocento, inoltre, si esponevano nel corso di fiere internazionali “esemplari” provenienti da Sud America, Africa e Indonesia: un caso divenuto tristemente famoso è rappresentato da Sarah Baartman, schiava di una famiglia di Boeri a Città del Capo ed originaria dell’Africa sudorientale. A partire dal 1810 fu trasformata in un vero e proprio fenomeno da baraccone per via della dimensione considerevole delle sue natiche, tratto raro in Europa. La sua vita si svolse tra esposizioni nelle principali capitali Europee, studi di antropologi e naturalisti e feste private dell’aristocrazia, dove spesso era tenuta legata con una catena al collo. L’azione più crudele, però, fu operata dopo la sua morte, avvenuta nel 1815: il suo corpo fu sezionato e lo scheletro, i genitali ed il cervello vennero esibiti al Museo dell’Uomo di Parigi fino al 1974.
Durante l’Esposizione Universale di Parigi del 1878 gli organizzatori proposero la ricostruzione di un villaggio africano con nativi al suo interno e, in altri padiglioni, vi erano indonesiani e cambogiani, costretti a mostrare danze e rituali tipici. Nei decenni successivi, furono perpetrate ancora tali forme di crudeltà a sfavore di molto umani, colpevoli soltanto di appartenere a un’etnia malvista e ridicolizzata dall’opinione pubblica e a volte persino dagli scienziati; essi erano sottoposti ad umiliazioni come essere chiusi in gabbia ed esposti nudi.
L’Italia non differiva da tale uso, tanto che in città quali Genova, Roma, Milano e Torino sorsero villaggi etno-espositivi.
L’ultima manifestazione di malvagità declinata nella maniera suddetta risale al 1958: durante l’Esposizione Universale di Bruxelles fu ricostruito un villaggio congolese, in cui erano relegate delle persone, alle quali gli spettatori lanciavano monete o banane.
Tali parentesi storiche offrono un quadro chiaro della disumanità, inciviltà e crudeltà di alcune pratiche, perpetrate ai danni di popolazioni o gruppi etnici minoritari e, per questo, soggetti a soprusi e ingiustizie.
Maria Elide Lovero
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