I Dolmen, monumenti (dimenticati) dalla storia millenaria

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Grotta di Tuppicello.

In precedenti articoli abbiamo già parlato delle cavità carsiche che si trovano nella vicina Bisceglie, in particolare nell’area di Santa Croce. In questo articolo, invece, vogliamo focalizzarci sugli indizi della presenza umana nell’area, analizzando i numerosi dolmen che si conservano tra Bisceglie e Corato.

Sicuramente, un elemento che ha permesso da subito all’uomo preistorico di abitare l’agro di Bisceglie è la ricchezza di ambienti ipogei naturali, che facilitavano la difesa dai pericoli e dagli animali. Oltre alle famose grotte di Santa Croce e quelle del Finestrino e delle Crocette di cui abbiamo parlato tempo fa, abbiamo avuto modo di visitare recentemente un’ulteriore conformazione, che sorge nei pressi della tenuta Frisari sulla provinciale che da Bisceglie conduce a Ruvo.

Abbastanza grande da poter essere abitata, si sviluppa in posizione defilata all’interno di una lama. Al momento non si notano segni del passaggio dell’uomo, ma c’è da considerare lo stato non proprio ottimale della cavità, in parte occupata da detriti e immondizia. È denominata “Grotta di Tuppicello”, ma non si dispone di altre informazioni, sebbene sulle piattaforme regionali sia indicata la presenza di un insediamento dell’Età del Bronzo.

Dromos del Dolmen di Albarosa.

Non lontano da qui sorge il Dolmen Frisari, di cui abbiamo anche parlato. Ma in posizione opposta, ancora una volta a ridosso della provinciale per Ruvo, si accede tramite una fitta rete di strade rurali a un dolmen meno famoso e molto peggio conservato rispetto agli altri. Si tratta del Dolmen di Albarosa, che prende il nome da un antico casale di proprietà della famiglia Berarducci all’interno del quale sorgeva uno specchione (ammasso di pietrame a secco) che conservava il sito megalitico.

La presenza dello specchione lo riconduce alla struttura del Dolmen di Giovinazzo, di cui non si aveva contezza proprio perché ricoperto da materiale di scarto. Il Dolmen di Albarosa venne scoperto nel 1909 dall’archeologo Francesco Samarelli, che fu attivo anche presso il Dolmen Frisari e il più famoso Dolmen della Chianca.

Lo specchione aveva forma ellittica e un diametro di 16 metri. Gli scavi che furono effettuati portarono alla luce alcuni frammenti di vasellame, un boccale e alcuni frammenti di epoca anteriore. Ma solo con gli scavi che si effettuarono negli anni ’60 furono rinvenuti i resti umani che ancora erano conservati nel sepolcreto.

L’area, ulteriormente consolidata negli anni ’80, appare oggi completamente abbandonata, circondata da una recinzione sgangherata che comunque permette l’accesso al sito. Questo è invaso dalla vegetazione spontanea, tanto che a malapena è individuabile il dromos, il lungo corridoio di accesso alla sepoltura.

Dolmen dei Paladini.

Tralasciando il Dolmen della Chianca, su cui tanti studi sono stati svolti, ci spostiamo in direzione Corato laddove sorge, anch’esso abbandonato, il Dolmen dei Paladini. Esso è comunque molto ben conservato e ricorda proprio il suo più famoso “collega” biscegliese. Il nome deriva da un’antica leggenda secondo cui alcuni giganti, i “Paladini” per l’appunto, si sfidarono per portare le pietre più grandi ed erigere il megalite.

L’area dovrebbe essere di pertinenza comunale, infatti e recintata e ci sono i resti di un edificio moderno probabilmente da destinare a biglietteria. Ma anche qui il degrado è assoluto.

Anche da qui si nota una certa miopia e la completa mancanza di interesse da parte della collettività. Considerando che in questi stessi giorni si è raggiunto uno splendido traguardo sull’Alta Murgia, divenuto Geoparco Unesco, la straordinaria e numerosa presenza di siti megalitici tra Giovinazzo, Bisceglie e Corato, cui si aggiunge il Pulo di Molfetta, potrebbe spingere le amministrazioni ad agire per ottenere riconoscimenti simili, riqualificando monumenti che testimoniano la nostra storia millenaria.

Giuseppe Mennea

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