“Il tempo che ci vuole” – il rapporto padre-figlia dei registi Luigi e Francesca Comencini

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Luigi Comencini è stato uno dei maestri del cinema italiano che per qualche motivo non gode del riconoscimento dovuto come diversamente accade, ad esempio, per i suoi colleghi Rossellini o Scola. Regista dei primi due film componenti la tetralogia “Pane, amore e…” – ossia “Pane, amore e fantasia” e “Pane, amore e gelosia” -, il suo successo è stato segnato da “Le avventure di Pinocchio” , il racconto del burattino di legno per la televisione. Tanto celebre quanto riservato, Luigi Comencini sapeva distinguere la vita famigliare da quella sul set.

Ai lati gli interpreti Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano, al centro la regista Francesca Comencini.

L’ultima figlia Francesca, dopo 40 anni di carriera artistica, ha trovato il tempo e il coraggio per descrivere nel modo più sincero il suo rapporto col padre. Facendo appello ai ricordi, alla memoria che spesso mette in luce alcuni dettagli piuttosto che altri, è nato il suo ultimo film autobiografico che è stato presentato fuori concorso a Venezia 81 ed è ancora fruibile in sala. “Il tempo che ci vuole” abbraccia 50 anni di vita della regista e non può che diventare una tra le migliori trasposizioni del legame padre-figlia che, secondo la Comencini, “è un legame assolutamente fondante e fondamentale nella vita di qualsiasi bambina e donna, qualunque esso sia.” Infatti, al di là dei reali personaggi della storia, il film vede come protagonisti un padre e una figlia (segnati proprio così sul copione), affrontando, dunque, delle tematiche universali, tra le quali quella del senso di inadeguatezza e del fallimento. La figlia, nei suoi vent’anni, non sa cosa fare della propria vita, non avverte nessuna particolare inclinazione, è in cerca della sua strada. Il padre la rassicura ammettendo di aver provato le stesse sensazioni da giovane, alla sua età, dicendo di “tentare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio.”
Tra neorealismo (verso la fine del film, Comencini piange assistendo a una scena di “Paisà” in televisione) e surrealismo (l’ispirazione proveniente dalle fiabe), “Il tempo che ci vuole” riesce ad essere edificante per tutti i padri e le figlie che si sentono inadeguati e si scontrano nel confronto dei ruoli e dei generi.

Sofia Fasano

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