Alejandra Pizarnik, una fragile anima poetica

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Il suo nome di battesimo era Flora, ma ben presto adottò il secondo nome. Alejandra Pizarnik fu poetessa, saggista e traduttrice, nata in Argentina da genitori ebrei russi. Scrittrice tormentata e disturbata, la sua poetica procede di pari passo con il progressivo crollo depressivo.
A soli diciannove anni pubblicò il suo primo libro di poesie “La tierra más ajena”, opera che successivamente preferì dimenticare. Indecisa per la scelta universitaria, si avvicinò alla pittura e fu influenzata dalla corrente surrealista. Ma dopo aver lasciato gli studi di lettere e anche di pittura, negli anni Sessanta si recò a Parigi in cerca di ispirazione letteraria pronta a diventare una scrittrice. Nella capitale francese, dove al tempo giungevano intellettuali da tutto il mondo tra cui sudamericani, fece la conoscenza del connazionale Julio Cortázar a cui restò legata da una profonda amicizia fino alla fine. Un altro incontro cruciale per Pizarnik fu quello con l’italiana Cristina Campo, anche lei autrice, con cui intrattenne una lunga, sincera e sofferta relazione epistolare. Campo cercava nelle sue lettere di alleviare la sofferenza che già da tempo aveva preso a pesare sulla confidente argentina.

Alejandra Pizarnik e Julio Cortázar. Immagine da Cultura Inquieta.

Il periodo più florido per la sua produzione poetico-letteraria è quello del ritorno oltreoceano, ma anche del suo declino psicologico. La poesia di Alejandra è l’espressione di un’anima ferita dalla vita stessa, che lei ha amato e odiato al contempo. La sua scrittura mette in rilievo i suoi demoni con la lucidità di chi si riconosce in essi. Nei suoi diari scriveva: “Se c’è una ragione per la quale scrivo, è perché qualcuno mi salvi da me stessa”.
Dopo una vita all’insegna del dolore, durante un fine settimana in cui era uscita dall’ospedale psichiatrico di Buenos Aires dov’era da quattro mesi, il 25 settembre 1972 morì suicida a soli 36 anni dopo aver ingerito cinquanta pasticche di barbiturici. Nel frattempo l’amico Julio Cortázar le scriveva da Parigi tentando vanamente di risollevare il suo umore: “[…] no te acepto así, no te quiero así, yo te quiero viva.”

Sofia Fasano

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