Il 16 dicembre 1972 usciva in Italia “Ultimo tango a Parigi”, l’esplicito dramma erotico diretto da Bernardo Bertolucci, tra i maggiori registi italiani e internazionali a partire dagli anni Sessanta. Film scandaloso, “Ultimo tango a Parigi” vede consumarsi del sesso senza vincoli tra il quarantacinquenne Paul e la ventenne Jeanne in un appartamento parigino. I ruoli dei protagonisti vennero affidati al più che noto Marlon Brando, per il quale valse come rinascita artistica, e a Maria Schneider che a soli 19 anni era al suo primo grande ruolo.
Il film fu censurato in Italia per le numerose scene sessuali, di cui una più di altre mise in moto i vari processi di sequestro della pellicola. Si tratta della cosiddetta “scena del burro”, venuta in mente al Bertolucci e Brando mentre spalmavano del burro sul pane a colazione. Di questa aggiunta al copione già firmato Schneider non era stata messa al corrente. Ciò che ne viene fuori è una scena di stupro. O dovremmo parlare di sopruso? Certo è l’abuso di potere da parte del regista, per il quale i limiti umani sono stati sorvolati “per amore dell’arte e del realismo”. Bertolucci, come ha dichiarato nel 2013 durante una “Leçon de cinéma” alla Cinémathèque française, “voleva la sua (di Schneider, nda) reazione di ragazza e non di attrice”. D’altronde la spettacolarizzazione dell’atto sessuale sulla scena qui era solo all’inizio.
Nell’era del movimento del #MeToo, Maria Schneider è stata una tra le prime attrici ad aver osato parlare pubblicamente di abusi sul set. Ma come avvenne nel suo caso, e ancora avviene oggigiorno, le sue dichiarazioni sono passate perlopiù inosservate. Oltre alle conseguenze che questo melodramma sessista che si è rivelato “Ultimo tango a Parigi” causò per le violenze riprese sulla vita dell’attrice, morta nel 2011 all’età di 58 anni.
È terribile l’attualità della sua denuncia ed è chiaro che la sopraffazione fisica e psicologica non deve trovare spazio nell’industria del cinema.
Sofia Fasano