Lo straordinario Palazzo Baronale di Bitetto

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Uno dei palazzi nobiliari più interessanti della provincia di Bari si trova nell’entroterra, precisamente nei pressi di Bitetto, piccolo centro agricolo che confina con Modugno e Palo del Colle. Proprio sulla strada di accesso al paese, provenendo da Modugno, lo si nota sulla destra, a ridosso dell’antica porta baresana. Si tratta del Palazzo Baronale Noja, straordinario esempio di architettura settecentesca.

Nel corso del Seicento, Bitetto era feudo della famiglia de Angelis di Mesagne. Carmine de Angelis, delfino del casato e oberato di debiti, decise di mettere all’asta il feudo dopo il matrimonio della figlia con il principe di Triggiano. Fu così che la città divenne proprietà della nobile famiglia dei Noja di Mola di Bari, nella persona del barone Francesco. Questi era enormemente ricco, tant’è vero che il primo atto per prendere possesso del feudo fu quello di costruire la sua enorme residenza, i cui lavori si svolsero a partire dal 1743.

Fece chiamare appositamente da Napoli un architetto, di cui non si è conservato il nome, ma che con tutta probabilità era attivo nell’area del Miglio d’Oro, secondo alcune fonti addirittura allievo di Vanvitelli. Sicuramente esiste una somiglianza tra il palazzo di Bitetto e le tante ville vesuviane o altri edifici partenopei, come il Palazzo Tarsia: l’edificio si sviluppa attorno a una corte quadrangolare, della quale solo un lato è occupato dall’edificio principale, mentre i rimanenti sono circondati da portici e terrazze. Di grande pregio è il lato che si affaccia sulla strada principale, in cui il portale fa capolino tra colonne corinzie posse su una parete a bugne nella forma di cuspidi, un po’ come la facciata del Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

La costruzione dell’enorme palazzo andò a modificare profondamente l’intero assetto del borgo antico di Bitetto, andando in parte a demolire le antiche mura e innestandosi esattamente al di sopra dei resti dell’antico forte medievale. All’interno dell’edificio, infatti, si conserverebbero tracce di finestre ogivali, oltre che gli ambienti dedicati originariamente a ospitare una taverna.

Lo schema della facciata a bugnato è ripreso anche all’interno della corte, cui si accede per il tramite dello stesso portale, su cui si intravede affrescato lo stemma del casato. In particolare, se i due lati presentano un susseguirsi completo di arcate in forma di portico, la facciata dell’edificio principale presenta un’alternanza tra aperture e pareti, con le stesse colonne presenti lungo la strada a fare da divisore. Queste si trasformano in paraste ai piani superiori, laddove si apre una ricca loggia corrispondente allo scalone d’onore del palazzo.

La struttura dovrebbe organizzarsi in due appartamenti, uno per gli ospiti (una decina di stanze) e quello di rappresentanza (1800 metri quadri), comprensivi di cappella privata, di cui si vedono la cupola e il campanile a vela dalla strada principale. Alle spalle dell’edificio principale si trova un vasto spazio aperto occupato da un giardino. Nei sotterranei si trovano delle ampie cantine e una vastissima cisterna, utilizzata per la raccolta delle acque che lo stesso Barone amministrava.

La famiglia Noja, proprietaria dell’immenso palazzo, prosperò fino al 1855, quando morì senza figli l’ultimo erede. La proprietà passò quindi a un nipote, Vincenzo de Ruggiero, appartenente al casato dei Baroni di Loseto e di parte anti-borbonica. Fu proprio l’abolizione della feudalità a segnare il tracollo del casato che, non riuscendo a mantenere l’enorme dimora, decise di abbandonarla. Già durante il secondo conflitto mondiale venne requisita dagli Alleati per acquartierare le truppe polacche; venne definitivamente venduto nel 1974. Acquistato dall’architetto molfettese Raffaele de Pinto, questi iniziò nel 1984 un periodo di ampi restauri, durati 10 anni, che hanno riportato la struttura all’antico splendore.

Ad oggi è saltuariamente visitabile la corte nel corso di eventi specifici.

Giuseppe Mennea

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