La violenza e la paura di essere rifiutati

  • 0
  • 195 visualizzazioni

Ilaria Sula e Sara Campanella sono solo le ultime due vittime di femminicidio che hanno fatto rumore in Italia. A Roma, città in cui studiava, Ilaria è stata uccisa la mattina del 26 marzo con tre coltellate alla gola, rinchiusa in un trolley per 20 ore e gettata giù da un dirupo dal suo ex fidanzato. Sara è stata accoltellata il 31 marzo a Messina da un ex collega universitario che la ossessionava da anni. 

Le condotte soggettive sono al dir poco inquietanti: basti pensare all’assassino di Ilaria che per depistare le indagini delle forze dell’ordine ha utilizzato il cellulare della ragazza per tranquillizzare la famiglia e le amiche. 

Chiedersi come mai hanno compiuto un reato del genere lascia il tempo che trova. È difficile entrare nella testa di uomini ossessionati e senza le capacità di saper accettare un rifiuto. L’ansia di essere abbandonati o non accettati può provenire dall’idea di non essere desiderabile. E da questa convinzione sbocciano due emozioni molto pericolose come la rabbia e la frustrazione che annebbiano gli occhi della persona indulgendo all’uso della violenza

Ma la violenza non è un raptus, non esplode di punto in bianco. Dietro di essa ci sono dei pregressi legati a comportamenti precedenti dell’aggressore o al falso mito secondo cui la donna è un oggetto di proprietà. La violenza esiste perché è un comportamento discriminatorio legato ad un atteggiamento: chi compie quel tipo di atto ha un pregiudizio verso quel comportamento. Che in queste storie altri non è che la gelosia. 

Quando Sara chiede al suo assassino di essere lasciata in pace e di non seguirla più, lo fa in un modo clemente e umano. Questa generosità le è stata fatale ma guai a incolparla perché il problema di fondo è più complesso. Quando una donna dice “no”, l’uomo non sempre recepisce la risposta come tale: accade che la sua mente, alimentata da stereotipi sulle convinzioni, i desideri e i comportamenti delle donne, non ne riconoscano i tentativi di rifiutare. 

Pensiamo al libro Orgoglio e pregiudizio di Jane Austin: nel XIX capitolo il signor William Collins chiede la mano della cugina Elizabeth Bennett che rifiuta la proposta di matrimonio dell’uomo. Quest’ultimo insiste più volte e trova anche il sostegno della madre della ragazza. Attorno all’uomo vige la convinzione che al secondo o al terzo tentativo avrebbe ricevuto il tanto atteso sì della donna. Elizabeth, protagonista di questo spiacevole corteggiamento, è vittima di un particolare fenomeno conversazionale, detto di ingiustizia discorsiva, che solo in tempi recenti è diventato oggetto di interesse filosofico: l’appartenenza a un gruppo sociale discriminato sembra distorcere e a volte annullare la possibilità di agire adeguatamente con le proprie parole.

L’esempio di Orgoglio e pregiudizio rende evidente come la risposta o l’opinione di una donna viene ignorata. Per gli uomini quella risposta negativa rappresenta solo l’inizio di un gioco di corteggiamento dove le ragazze recitano il ruolo di prede difficili da catturare – e loro si sentono quindi giustificati nell’insistere, con parole e con atti, fino a ottenerne la resa. Si è creato un messaggio secondo cui il “no” di una donna è debole, non conta. 

Questo avviene nei libri come avviene nella realtà. E la storia di Sara ne è la prova lampante.

Paolo Gabriel Fasano

Stabat Mater di Pergolesi: un ponte per la pace
Articolo Precedente Stabat Mater di Pergolesi: un ponte per la pace
Botta e risposta tra Catanzaro e Bari: spettacolare 3-3 al Ceravolo
Prossimo Articolo Botta e risposta tra Catanzaro e Bari: spettacolare 3-3 al Ceravolo
Articoli collegati

Lascia un commento:

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I tuoi dati personali verranno utilizzati per supportare la tua esperienza su questo sito web, per gestire l'accesso al tuo account e per altri scopi descritti nella nostra privacy policy.