XXXII domenica del tempo ordinario

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Di per sé il mistero della morte, anche secondo il cristianesimo, è difficile da comprendere, eppure le figure di Giobbe e dei Maccabei sono dei modelli di fede perché, pur non avendo conosciuto Cristo, hanno compreso che la fedeltà di Dio si estende al di là della morte e che Adonai è il Dio della Vita. Il Vangelo di oggi porta a compimento la speranza della risurrezione nutrita dai nostri padri, in quanto è lo stesso Gesù ad indicarci che siamo fatti per vivere in Dio, secondo il cielo. Essere figli della risurrezione vuol dire vivere nella storia di irruzione del Dio Vivente nel mondo, e compiere ogni singolo atto in vista del nostro destino eterno.

Se perdiamo la nostra spinta verticale, perdiamo tutto: la morte diventa così un passaggio necessario, doloroso, mentre la vita viene vista come un precipitarsi continuo verso il nulla.
Tutto perderebbe valore e noi diventeremmo come i sadducei della Scrittura, affannati, cioè, a ricercare qui sulla terra le ragioni del nostro esistere e le soluzioni incerte ai problemi che la morte porta con sé.

Preghiamo con il ritornello del salmo: Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto, perché il Signore ci faccia pregustare la bellezza e il dono gratuito della vita eterna nella Parola e nell’Eucaristia domenicale.

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