“I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.” (Matteo 2,13-15).
La Fuga in Egitto è un episodio famoso dell’infanzia di Gesù anche se è ricordata soltanto nel Vangelo di Matteo in tre versetti e non fu oggetto di riflessione nei primi secoli cristiani, non è mai stato celebrato come festa nel calendario liturgico, tranne in quello della Chiesa Ortodossa Copta, tra cui figura come “le piccole feste di Cristo” e non è un soggetto iconografico rappresentato nelle icone, se non accanto ad altri episodi del ciclo dell’infanzia.
Tuttavia la letteratura apocrifa su questa fase del ciclo dell’infanzia di Cristo ha fornito abbondanti dettagli al sobrio racconto del Vangelo di Matteo, rendendo la narrazione viva, arricchendo di particolari il viaggio della Santa Famiglia, presenti nell’arte bizantina ed etiope.
Nel mosaico della Cappella Palatina di Palermo, terminata nel 1130 e consacrata nel 1140, troviamo rappresentata la “fuga in Egitto”, di fianco al sogno di Giuseppe. La scena è inquadrata nel paesaggio esotico d’Egitto con la raffigurazione del fiume Nilo carico di pesci e gli alberi di palma. La Madre è rappresentata seduta su un asino bianco (colore della purezza) come su di un trono, cioè in posizione di regina. Abitualmente ha il Bambino in braccio, ma questa volta lui è sulle spalle di Giuseppe, che le cammina davanti. Maria non lo cinge fra le proprie braccia, ma lo affida in custodia a Giuseppe, che diviene immagine dell’umanità, mentre guarda avanti ed esegue con amore il suo dovere di custode di Gesù e Maria. Gesù si volge indietro verso sua Madre come a colei che, proprio come lui, ubbidisce per amore nostro e alla volontà del Padre.
Lungi dall’essere una illustrazione solo storica o sentimentale, l’iconografia nasconde un profondo significato teologico legato alla passione e alla morte in croce di Gesù.
Gesù è già in pericolo di morte e se guardiamo bene alcuni particolari, questi ci parleranno chiaro.
Vi è un’analogia di Gesù con l’asino, nel suo ingresso in Gerusalemme osannato come re pochi giorni prima della sua passione. Inoltre, allusivo è il fazzoletto bianco stretto nella mano destra della Madre, che è lo stesso che troviamo tra le sue mani, bagnato di lacrime, sotto la croce. C’è ancora un altro riferimento alla passione, la gambina del Bambino tra le mani di Giuseppe che è scoperta, che nelle icone bizantine è un forte richiamo alla sua crocifissione.
Al seguito della Santa Famiglia c’è la figura di un giovinetto che è Giacomo che, secondo gli Apocrifi, è uno dei figli del precedente matrimonio di Giuseppe.
La fuga non è sempre un atto vergognoso, ma può essere un atto di coraggio che osa la paura e prende la decisione possibile. È un gesto di umiltà, perché manifesta la consapevolezza della propria piccolezza e debolezza, e un’azione di opposizione che non si piega al male predominante e nel caso particolare è un atto di responsabilità con cui Giuseppe difende il futuro di Maria e di Gesù. È soprattutto un atto di fede, poiché Matteo scrive che è “l’angelo del Signore” che compare in sogno a Giuseppe e gli dice di fuggire in Egitto che indica, precisamente, l’azione divina negli eventi umani per mettere fine a momenti disperati che sembrano senza alcuna via d’uscita.
Antonio Calisi