Qual è il limite oltre il quale l’uomo non è più uomo?

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Qual è il limite oltre il quale l’uomo non è più uomo?

Questa è la domanda che mette in moto “La giornata di uno scrutatore”, racconto di Italo Calvino uscito nel febbraio del 1963. È un romanzo breve, lungo settantasette pagine, ma non per questo di facile scrittura: “Posso dire che, per scrivere una cosa così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro”, dice lo scrittore in un’intervista pubblicata sul “Corriere della Sera” del 10 marzo 1963.

La difficoltà del libro consisteva proprio nella rielaborazione del vissuto autobiografico di Calvino. La storia è semplice: Amerigo Ormea, alter-ego dell’autore, viene eletto scrutatore nella sede elettorale del Cottolengo, storico ospedale psichiatrico nella provincia di Torino. Qui entra in contatto con un tipo di umanità diversa, un’umanità “deforme”, “minorata”: l’umanità degli “idioti”.

È giusto che una persona con evidenti ritardi psico-motori abbia lo stesso diritto di voto degli altri cittadini e che il suo voto venga espresso tramite prestanome? Poi, chi controlla che i prestanome esprimano il volere dei pazienti, e non quello di qualcun altro?

Calvino, così, si avvicina al dibattito a lui contemporaneo riguardante le malattie mentali e i manicomi (personaggio di spicco di questo dibattito fu Mario Tobino) e allarga poi la sua ricerca ad altre questioni fondamentali come l’aborto, la famiglia, la bellezza e, la più importante, l’amore: “l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.”

Il merito dell’opera, dunque, è quello di aver delineato, attraverso un processo logico-deduttivo, la figura dell’Uomo del Novecento: un Uomo privato delle proprie certezze e in balia degli eventi, incapace di trovare il senso della vita in un mondo dominato dalla produttività.

Simone Lucarelli

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