Incredibile successo dell’ultima rappresentazione dell’Aida all’Arena di Verona

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Venerdì 8 settembre, all’Arena di Verona è stata messa in scena l’ultima rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi, un’opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni, che ha dato l’incipit alla 100a edizione dell’Arena di Verona Opera Festival, il 16 e 17 giugno.

Suggestiva e particolare è l’ambientazione di questa Aida del regista e costumista Stefano Poda: al centro del palco una grande mano metallica con le falangi che si muovono, attorniata da numerose altre piccole mani ai lati infilzate su delle lance usate per combattere o per osannare gli dei. La mano, simbolo della potenza dell’uomo, assume la duplice valenza di creazione e distruzione. Tutta l’opera è caratterizzata dal tema del doppio: due popoli fratelli e vicini che diventano nemici; Radames conteso tra due donne, Aida e Amneris; Aida divisa tra l’amore per la sua patria etiope e quello per Radames, capitano delle guardie egizie. Questa scissione sembrerebbe richiamare quella che noi oggi viviamo, in cui l’uomo prima crea bellezza e poi la distrugge, ritrovandosi in un mondo sempre più disumanizzato, in cui è necessario ricreare uno spazio per l’anima.

Il regista definisce l’Aida «come un archetipico viaggio dantesco che parte dall’inferno e arriva alla pace di una visione estatica», infatti inizia con una guerra distruttiva, paragonabile ad una perdizione infernale, con i nemici che compaiono da botole dal basso del palco, e termina con l’unione estatica dei due amanti che decidono di morire insieme e rendere eterno il loro amore, negato sulla terra ma possibile nell’aldilà, in una rinascita nella luce, ben rappresentata da un enorme globo luminoso che aleggia sul palco.

I colori adoperati sono molto essenziali e diafani, l’oro antico tipico dell’Egitto è stato sostituito dall’argento, dagli specchi, dalla trasparenza delle piramidi per rendere un mondo più freddo ed etereo, primitivo come il ghiaccio, ma al contempo tecnologico, grazie all’uso dei led e dei laser rossi e bianchi che rendono la luce a tratti accecante. Anche i costumi sono principalmente caratterizzati da colori essenziali e neutri: nero, bianco e rosso con luminose paillettes, ma sono ben lungi dagli arcaici vestiti egiziani. Il richiamo a quella cultura è appena accennato dal tipico occhio disegnato sui costumi bianchi, da alcuni copricapi e dalle piramidi di vetro o disegnate con dei led. Questo connubio di antico e moderno è presente anche sullo sfondo con una colonna greca spezzata a destra insieme a dei rottami di macchine moderne a sinistra, simbolo di una guerra che devasta tutti i tempi.

Per quanto concerne invece l’esecuzione musicale, notevoli sono le voci che si sono esibite sul palco: il soprano Maria José Siri ha interpretato Aida in maniera sublime, con degli acuti degni di lode; Yonghoon Lee, nei panni del prode Radames ha commosso il pubblico con una voce limpida e coraggiosa, pronta ad affrontare la morte per la donna che ama. Ottime anche le interpretazioni dei due re: Vittorio De Campo, il re egiziano, e Gevorg Hakobyan, Amonasro, il re etiope, entrambi caratterizzati da voci forti e possenti, degne di due sovrani. Amneris, la figlia del re egizio, innamorata di Radames e rivale in amore di Aida, è stata interpretata in maniera magistrale da Ekaterina Semenchuk, mentre Rafał Siwek ha ben impersonato Ramfis, il sacerdote rigido e ieratico. Buone anche le interpretazioni dei ruoli marginali del messaggero (Riccardo Rados) e della sacerdotessa (Francesca Maionchi).

Fondamentale per la riuscita dell’opera è stata anche la presenza dell’orchestra diretta magistralmente da Daniel Oren e il coro diretto da Roberto Gabbiani.

Nel complesso, durante tutta la stagione operistica, la rappresentazione di questa Aida ha riscosso pareri contrastanti e spesso deludenti, in quanto quest’opera così innovativa non sarebbe pienamente in linea con i canoni dell’Arena, anche se l’interpretazione originale di Stefano Poda è riuscita a coniugare bene la grandiosità e l’intimità tipica dell’Aida, grazie al particolare connubio tra antico e moderno che rende lo spettatore più coinvolto e protagonista attivo della storia.

 

Martina Ragone

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