Vivere il cinema à la Wes Anderson

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Dopo che quest’estate (2023) ha spopolato la tendenza sui vari shorts video di social come TikTok e Youtube e sui reels di Instagram del “vivere come in un film di Wes Anderson” (“You better not pretending you live in a Wes Anderson story” oppure “You better not act like you’re in a Wes Anderson film” o ancora “You better stop acting like you’re in a Wes Anderson movie”), questo mese di settembre è stato all’insegna proprio del regista de “I Tenenbaum” (2001) e “Moonrise kingdom” (2012).
Già in primavera “Asteroid city” (ora in sala) era stato presentato in anteprima mondiale a Cannes, alla scorsa Biennale di Venezia, invece, il regista ha tenuto una master class e presentato fuori concorso il corto “La meravigliosa storia di Henry Sugar” con gli attori protagonisti “in presenza” – dato che molti altri non hanno potuto sfilare sul red carpet in laguna e sponsorizzare i loro film a causa degli scioperi che erano in corso ad Hollywood (ora sembra essere stato raggiunto un accordo tra le parti).
I corti pubblicati sulla piattaforma di streaming Netflix sono in totale quattro, tutti tratti da diversi racconti dell’autore britannico Roald Dahl (a cui Anderson aveva già fatto riferimento per il soggetto del suo “Fantastic Mr. Fox” (2009), dalle cui storie sono stati tratti altri film celebri come “Matilda 6 mitica” (1996) e “La fabbrica di cioccolato” (2005) ) e che vedono tutti protagonisti gli stessi attori: nello stesso corto, un dottore di Calcutta a inizio storia (Dev Patel) può tranquillamente vestire i panni di un contabile inglese alla fine. Inoltre, qui il narratore non è una voce fuoricampo, bensì sono gli stessi protagonisti ad alternare la narrazione rivolta allo spettatore ai loro dialoghi con gli altri personaggi in scena.
I progetti di Anderson di quest’anno hanno a capo il suo amore per il teatro che celebra soprattutto in “Asteroid city” rendendo una pièce teatrale cinema e il cinema uno spettacolo teatrale.
Siamo ormai lontani dallo stile (ma di certo non per la fotografia) del “Gran Budapest Hotel” (2014), ora il regista non prescinde dal lanciare un messaggio al pubblico, più o meno profondo: dal bullismo in “Il cigno” (corto) ai temi trattati nel lungometraggio, dalla morte, al dolore, alla finzione, alle restrizioni da quarantena (che ci suonano familiari), al controllo dei “poteri forti”.

Sofia Fasano

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