Il frantoio “dell’olio rosso”: come un antico fatto di cronaca ha segnato la denominazione di un trappeto

Vicende storiche di un'antica struttura di Lama Misciano

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Nei pressi della zona industriale di Modugno, lungo il tracciato di Lama Misciano, sorge un antico frantoio che testimonia un antico fatto di violenza. È il Trappeto Montepeloso, conosciuto volgarmente come Frantoio dell’olio rosso.

La struttura sorge nei pressi di quello che oggi appare come un sentiero, ma che originariamente doveva essere un tracciato che collegava Irsina, in provincia di Matera, anticamente nota appunto come Montepeloso, alla costa di Bari, sede dei principali traffici adriatici con Venezia.

Questa antica arteria costeggiava Lama Misciano, una ramificazione della più nota Lama Balice. Si tratta di un’area ormai quasi completamente inglobata nella zona industriale, ma, nonostante ciò, caratterizzata da un pesante degrado: vi si accede da una prosecuzione di Via dei Fiordalisi, strada che poi si interrompe per proseguire solo alcune centinaia di metri oltre, lasciando non servita una buona fetta della zona, che viene usata anche per lo scarico illegale di rifiuti.

Fino a qualche anno fa, l’area era occupata da campi agricoli, ma oggi appare completamente abbandonata, tant’è che la vegetazione della vicina Lama Balice sta pian piano riprendendosi i suoi spazi. Non è difficile, ad esempio, osservare la fioritura di particolari orchidee spontanee specie nel periodo primaverile.

Tra antichi pagliai e un palmento in tufo, il sentiero prosegue in una vegetazione sempre più intricata, fino a raggiungere l’antico frantoio. Questo si nota appena, solo per la presenza dell’ingresso che fa capolino tra le piante e per la caratteristica copertura a chiancarelle. Per la somiglianza della struttura al nostrano frantoio del casale Rufolo, ma anche per la pezzatura delle pietre e le caratteristiche architettoniche, alcuni studiosi lo fanno risalire addirittura ai secoli XIV-XV, periodo in cui fiorivano i commerci di olio specie con Venezia.

Allo stato attuale, però, il complesso appare molto più contenuto rispetto al casale Rufolo: integri permangono solo due ambienti, ovvero l’antico lamione dove avveniva la produzione e un deposito seminterrato attiguo. L’area di produzione presenta tracce di cisterne sottostanti, mentre quasi nulla è rimasto delle antiche macine.

Completamente assenti, invece, i locali destinati a cappella e abitazione. Probabilmente, opportune ricerche potrebbero individuare i resti di eventuali ampliamenti, poiché allo stato attuale la vegetazione spontanea copre qualsiasi dettaglio all’esterno del lamione.

Ma veniamo alla vicenda che si riferisce al toponimo del luogo: secondo un’antica leggenda, infatti, un uomo sarebbe stato colto in flagrante dai proprietari della struttura mentre rubava un grosso carico di olive. Ne fece seguito una colluttazione che ebbe un risvolto tragico: i proprietari, presi dall’ira, gettarono il ladro dentro le vasche in cui erano pigiate le olive. L’olio, quindi, venne tinto di rosso dal sangue del malvivente.

Secondo un’altra versione, invece, furono coinvolti più briganti e furono loro ad avere la meglio sull’unico proprietario. Il risultato è comunque lo stesso, e a ricordo del fatto di cronaca sarebbe stato mutato il nome della struttura.

Giuseppe Mennea

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