Il topazio di Ferdinando II: il gioiello più grande del mondo si trova a Taranto

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Il Museo Diocesano di Taranto, conosciuto con l’abbreviazione di MuDi, sorge nel borgo antico, all’interno del vecchio seminario minore. Qui tra ex voto, crocifissi, paramenti sacri e pergamene è custodito il gioiello più grande del mondo: si tratta del topazio di Ferdinando II di Borbone.

Non si sa con certezza chi abbia fornito tale tesoro al re, probabilmente alcuni mercanti o un suddito fedele. In ogni caso, un topazio dal colore arancio e dal peso straordinario di ben quattro chili giunse a Napoli, all’epoca della monarchia borbonica. In alcuni documenti, è indicato che la gemma sia giunta a Napoli già sotto Carlo III, primo sovrano della dinastia. Ma fu Ferdinando IV a decidere di impiegare tale tesoro per la realizzazione di due opere diverse.

Dalla pietra, infatti, si sarebbero dovute ricavare due decorazioni specifiche, una da destinare allo sportello del tabernacolo della Cappella Palatina della Reggia di Caserta, una quello della Chiesa di San Francesco di Paola, sita nell’attuale Piazza del Plebiscito, all’epoca Largo del Palazzo Reale.

L’estrema durezza della pietra, però, rappresentò fin da subito una sfida per gli orafi di corte, tant’è che il progetto riservato alla Reggia di Caserta finì per arenarsi. Diversamente, quello destinato alla Chiesa di San Francesco di Paola poté essere portato a termine. Ferdinando II, infatti, si rivolse a un affermato e capace artista di Padula, tale Andrea Cariello, già incisore presso la Zecca Reale e impegnato nel cantiere della Reggia.

Usando strumenti estremamente innovativi per l’epoca, come ad esempio scalpelli con punta in diamante, l’artista portò a termine l’incarico in dieci anni (1853-1863), realizzando dalla gemma un’opera di circa un chilo e mezzo, con dimensioni pari a 18×14,5×7 centimetri complessivi.

Vennero, in pratica, utilizzate le stesse tecniche adoperate dall’artista per realizzare i coni delle medaglie e delle monete. Ad esempio, ciò traspare nell’eleganza del panneggio, nel dinamismo della scena e nella forte espressività del Cristo, tratti tipici della ritrattistica ufficiale impiegata nella Zecca.

L’opera realizzata è un bassorilievo che raffigura il Signore che spezza il pane, inserito in una cornice dorata decorata da putti.

Nel frattempo, però, la situazione politica era profondamente cambiata, e dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie ai territori piemontesi, il topazio rimase in cura dello stesso artista. Questi, comunque, decise di dar lustro all’opera, esponendola presso mostre nazionali e internazionali, addirittura a Chicago. Dopo una serie di passaggi, il gioiello giunse nelle mani della famiglia Latagliata di Taranto, nella persona dell’avvocato Raffaele Latagliata, che acquistò il gioiello all’asta.

L’ultima esponente della casata, donò, quindi nel 1936 l’opera all’Arcidiocesi, che provvide a inserirla all’interno del tesoro di San Cataldo.

Giuseppe Mennea

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