La Chiesa di Sant’Egidio, grangia benedettina nelle campagne di Giovinazzo

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Foto storica con la facciata integra, fornita da G. Maldarella.

A ridosso dell’antica Via del Piano, attuale provinciale per Terlizzi, a livello della Torre di Don Ciccio ma in posizione più defilata rispetto alla strada, sorgono le rovine dell’antica Chiesa di Sant’Egidio. La sua storia secolare è, ormai, messa a repentaglio dalle critiche condizioni statiche dell’edificio, che ha anche perso la splendida facciata romanica.

Della fondazione della Chiesa non si hanno notizie precise. È attestato come in zona esistessero delle proprietà dell’Abbazia di S. Maria di Pulsano, importante centro benedettino di Monte S. Angelo, che a Giovinazzo deteneva alcuni terreni e oliveti fin dal 1177, come risulta da un privilegio di papa Alessandro III.

Stato dei luoghi al 22/03/2024: facciata della Chiesa.

Diversamente, la Chiesa di Sant’Egidio è indicata in un documento del 1225 in cui Federico II conferma i privilegi goduti dalla citata Abbazia. La struttura, quindi, doveva essere sostanzialmente una grangia, cioè una comunità agricola dipendente da una casa madre benedettina con sede in altra località, in questo caso il Gargano. E come tale risulta ancora nel 1640, segnalata dallo storico Ludovico Paglia nelle sue “Istorie”.

Foto storica, sito del Comune di Giovinazzo.

La Chiesa di Sant’Egidio risulta tra quelle le cui entrate facevano capo alla Collegiata dello Spirito Santo, come da disposizioni di papa Bonifacio IX (1396). Le chiese rurali indicate in tale documento sono descritte come diroccate e abbandonate, e ancora in tali condizioni versavano all’epoca di Bisanzio Lupis, quasi un secolo dopo, che così le indica nelle “Cronache”. Probabilmente, le strutture vennero ripristinate nella prima metà del ‘500.

Stato dei luoghi al 22/03/2024: l’ingresso agli altri edifici e la cesura nella facciata.

La proprietà doveva comprendere, oltre alla Chiesa, ulteriori edifici. Ancora oggi, infatti, si nota a ridosso dei resti della facciata una chiara linea che demarca una costruzione attigua, di cui si intravede tra le sterpaglie un ingresso, che permette l’accesso al piano terra. Difficile dire se originariamente esistessero ulteriori livelli. In alcune descrizioni si parla di alcune iscrizioni, precisamente un’abbreviazione (DIS) e una data (1523), che si notavano sugli stipiti di tale ingresso.

Tali locali vennero nel tempo (metà del Seicento) adibiti a ricovero degli appestati. Nella memoria si è conservato il ricordo che, in occasione dei lavori di ampliamento della vicina cava, siano venuti alla luce resti umani conservati sotto lastroni di pietra.

Stato dei luoghi al 22/03/2024: foto aerea d’insieme.

Pare che, come la maggior parte delle chiese rurali dell’epoca, fosse di pianta rettangolare, a navata unica, con cupola centrale e copertura a chiancarelle. Nonostante il crollo della facciata, si possono osservare alcuni conci e tracce di monofore, che dovevano illuminare l’ambiente interno. In una descrizione del 1975, si parla di contrafforti esterni, che garantivano la sopravvivenza della struttura, internamente caratterizzata da pilastri molto sottili.

La facciata principale presentava un portale con arco a tutto sesto poggiante su mensole aggettanti, e una monofora a doppia ghiera. L’autore di tale descrizione, l’Ing. Ezio de Cillis, finisce per datare l’edificio a un periodo a ridosso tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo.

Giuseppe Mennea

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