All’origine di un’espressione tanto adoperata nella lingua italiana, volta ad indicare la propria sicurezza circa una determinata situazione, vi è una leggenda nata in riferimento alla storia di Roma, il cui protagonista è Gaio Mucio Scevola: Tito Livio nella sua celebre opera “Ab Urbe condita” narra l’episodio che lo avrebbe reso un exemplum di onestà e coraggio.
A seguito della cacciata di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, ebbe inizio la repubblica a discapito del sistema monarchico. Poiché gli Etruschi, guidati da Porsenna, re di Chiusi (o Veio), tentarono di acquisire il dominio su Roma, si svolsero numerose battaglie tra i due popoli, tanto che gli scontri sanguinosi si estesero per quasi un anno (508 a.C.).
Francesco Maffei, “Muzio Scevola davanti a Porsenna”
In questo clima, emergeva la personalità di Gaio Muzio, giovane aristocratico contrariato dall’assalto etrusco e dall’eventuale ritorno della monarchia: egli pianificò una strategia per mettere fine all’assedio che logorava i Romani per la penuria di grano e la espose in Senato: «Senatori, vorrei attraversare il Tevere e penetrare, qualora sia possibile, nell’accampamento nemico, non per compiere atti di razzia e ripagare il nemico con identica moneta. No, con l’aiuto degli déi vorrei fare qualcosa di più grande.» Il suo scopo consisteva nell’uccidere di sua mano Porsenna. Ricevuto l’assenso del Senato, nascose un pugnale sotto la veste e giunse nell’accampamento nemico nascondendosi fra la folla di soldati, schierati per ricevere la paga al cospetto del re e dello scrivano. Arrivato dinnanzi a loro, sgozzò erroneamente lo scrivano, il quale era vestito in modo simile al sovrano, e a nulla servirono i suoi tentativi di fuga.
Davanti al re, non negò le sue intenzioni e pose la mano destra sul braciere rovente, lasciandola consumarsi, mentre diceva: «Volevo uccidere te. La mia mano ha errato e ora la punisco per questo imperdonabile errore».
Il re, sorpreso da un simile atto coraggio, risparmiò la vita al giovane e gli restituì la libertà. La leggenda, però, racconta che Muzio avrebbe asserito che altri trecento romani erano disposti ad uccidere il re etrusco e che, intimorito da tali parole, Porsenna si affrettò a chiedere la pace ai Romani. In segno di riconoscimento, a Muzio fu donato un terreno oltre il Tevere chiamato “parte Mucia” e, dopo la perdita della mano destra, assunse il cognomen di “Scaevola”, dal significato di mancino.
La scena, oltre a conoscere grande fortuna nella cultura orale, è stata rappresentata nelle arti figurate: appare, infatti, fra i dipinti della Sala dei Capitani dei Musei Capitolini.
Maria Elide Lovero