IL COMUNE DI GIOVINAZZO E’ SEMPRE PERDENTE NELLA VERTENZA CIRCA L’AREA CONVENZIONATA NEL 2000 CON LA SOC. “VILLA GIUSTINA” PER LA COSTRUZIONE DELLA CLINICA OSPEDALIERA, MAI ATTUATA

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È, ormai, trascorso un quarto di secolo da quando si convenne di dare approvazione al piano, per edificare la Casa di Cura “Villa Giustina”, sul suolo di circa mq.7.500, in contrada “Torre del Ciuccio”, compresa nella Zona A.S. -15-, Lotto 3, del PRGC (Delibera del Consiglio n.114 del 27 dicembre 1999). Tuttavia, quel programma edilizio finalizzato a insediare a Giovinazzo un Centro di cura privato, esercente anche prestazioni ospedaliere a carico del Sistema sanitario nazionale, è da tempo oggetto di una incresciosa vertenza giudiziaria, insorta a seguito del mancato realizzarsi di quella struttura. La vicenda è stata, a fasi alterne, anche argomento d’incomprensibili, quanto discutibili, punti di vista da parte dei politici locali. L’ex Consigliere comunale, dott. Iannone, ebbe a commentare la vicenda come un “qualcosa di ingarbugliato” con un suo esteso comunicato stampa, diramato l’11 marzo 2017, appunto, all’indomani dell’animata discussione tenutasi, a riguardo, nel Consiglio Comunale, del precedente giorno, 7 marzo. In quell’assise, infatti, il Sindaco Depalma e il dott. Depalo, all’epoca Assessore anche al Patrimonio, avevano reso noto che, a fronte del perdurare dell’inadempienza dell’azienda sanitaria a costruire la casa di cura, cui si era obbligata con la stipula di un rogito notarile, l’Amministrazione avrebbe provveduto a “revocare  il relativo titolo a costruire, e a richiedere il risarcimento dei danni per la mancata realizzazione della clinica e, quindi, far cadere il diritto di superficie concesso sul suolo, rimasto inedificato”.

S’intuiva, chiaramente, che quelle esternalizzazioni erano volute da Depalma a scopo di propaganda politica, giacchè si era già accesa la campagna elettorale per il rinnovo delle cariche comunali, essendo, ormai, giunto alla fine il suo primo mandato da Sindaco.

Val la pena, tuttavia, per ragioni di cronaca, ricordare che il suolo in contesto, ben noto a tutti per lo stato di disastroso abbandono in cui oggi versa, era stato ceduto dall’azienda ospedaliera in proprietà al Comune con la stipula della convenzione urbanistica del 3.05.2000, cui rogito notarile n.rep. 158.042 del notaio Corrado Magarelli in Castellana Grotte. In attuazione di quel rogito, infatti, la società era obbligata a edificare sul sito, cui gli era stato conferito il diritto di superficie, la fabbrica che avrebbe dovuto ospitare la casa di cura che gestiva a Molfetta. E’ da dire, pure, che le determinazioni prospettate da Depalma nel Consiglio comunale del 7 marzo 2017 erano mosse per lo più a controbattere le rivendicazioni della ditta Medicol S.r.l, succeduta, nel frattempo, al contesto societario di Villa Giustina (28.12.2009), volte a considerare ormai decaduta la convenzione stipulata con il Comune dalla soc.Villa Giustina, essendo decorso il termine decennale di durata del Piano Particolareggiato, come previsto dall’art.17, c. 3 della L. n.1150/1942 (“decorso il termine stabilito per la esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione”).

Veniva, infatti, evidenziato dalla società concessonaria, subentrante, l’effettiva e oggettiva impossibilità a darvi corso, a motivo del rifiuto della Regione al rilascio del parere di compatibilità per la costruzione della fabbrica ospedaliera con capienza di 120 posti letto, anzicchè 50, sì come rimodulata strutturalmente con l’autorizzazione data dal Comune in base alla deliberazione consiliare n.29 del 3.06.2009.

E, di fatto, la Medicol S.r.l., già il 5 di aprile 2017 aveva notificato al Comune un motivato e articolato esposto con cui volle immediatamente contestare le azioni risarcitorie minacciate dagli Amministratori comunali e condivise da Iannone, che aveva, da poco, portato il suo gruppo politico ad allearsi con la maggioranza al governo. In quel riscontro formale la soc. Medicol tenne a evidenziare le ragioni della inattuabilità del programma edilizio convenzionato, per sopravvenuta alterazione del quadro normativo ed amministrativo, e chiedeva al Comune di prendere atto della situazione che ne impediva la realizzazione e ne riconoscesse, al tempo stesso, l’intervenuta risoluzione o decadenza.

In pratica  invocava il ripristino dell’originario titolo di proprietà e la restituzione dell’area, a suo tempo, trasferita da Villa Giustina al Comune medesimo, quale condizione legale per la concessione a edificare la struttura ospedaliera, non più realizzabile.

A tale esposto, com’è di solito fare, l’Amministrazione comunale non ha mai dato riscontro né ha mai messo in atto i provvedimenti di rivalsa risarcitoria annunciati con tanta determinazione nel Consiglio Comunale del 7 marzo 2017. Per cui della questione non se n’è più discusso per qualche anno, anche perché Depalma riuscì a essere eletto nuovamente a Sindaco, nella primavera del 2017.

Fin tanto che la Soc.ANTHEA HOSPITAL S.p.a., che ebbe ad incorporare, a sua volta, la Medicol S.r.l., non azionò ricorso al TAR, in data 10 marzo 2020, per chiedere l’accertamento dell’intervenuta decadenza della convenzione, stipulata tra Comune e Villa Giustina, per fatto non ad essa imputabile, con conseguente declaratoria del diritto a riavere in proprietà l’area in contesto. A sostegno dell’impugnativa portava il dispositivo dell’art. 16, c.5 della L. 1150/ 1942  in forza del quale sarebbe intervenuta la decadenza della Convenzione, sottoscritta con rogito notarile in data 2.05.2000 e tutti gli atti integrativi intervenuti  a variazione dell’originario permesso edilizio a costruire la clinica. Al tempo stesso, avanzava richiesta perchè fosse dichiarato che la mancata attuazione della convenzione medesima era da imputarsi a fattori esterni (per factum principis) o, comunque per fatto addebitabile al Comune.

Il TAR ebbe a esprimersi in modo sollecito con valutazioni quanto mai puntuali e ben argomentate, riassunte nella decisione del 3 dicembre 2020. In sintesi accoglieva la domanda della ricorrente, Soc. Anthea Hospital, circa il verificarsi della decadenza del rapporto concessorio negoziato con il Comune. Ravvisando, infatti, che detto atto convenzionale veniva a conformarsi, sotto tutti gli aspetti, come una “Convenzione Urbanistica”, per cui era da ritenersi non più valido con il decorso di dieci anni dalla sua stipula. E, particolarmente, specie nel caso in esame, ove la mancata attuazione di quanto negoziato, finalizzato all’insediamento dello stabilimento ospedaliero, era da attribuirsi a impossibilità sopravvenuta. Con lo stesso giudizio, però, il TAR si dichiarava incompetente a decidere sulla domanda del ricorrente a veder riconosciuto il diritto a riappropriarsi dell’immobile ceduto al Comune, per ottenere il titolo edilizio a costruire la clinica. Quest’ultima proposizione, non trovando alcun appiglio giuridico nell’articolato pattizio della Convenzione stipulata davanti al notaio il 3 maggio 2000, il giudice ritenne di configurarla come azione di restituzione, ex art. 2033 e ss. del C.C., per cui ogni decisione in merito valutò essere di spettanza del giudice ordinario.

Un giudicato piuttosto indicativo questo, particolarmente per le sue ampie note esplicative in termini d’inquadramento tecnico-giuridico della controversia, ai fini della possibile conclusione della vertenza stessa. Tant’è che alla luce dello schema negoziale convenuto tra il Comune e la concessionaria, lo stesso è stato considerato dal giudice avere, a tutti gli effetti, la valenza di una vera e propria “Convenzione Urbanistica” e, come tale, soggetta a decadenza per il trascorrere del periodo decennale di efficacia.

Tuttavia, a fronte di tale risoluzione giudiziaria, del tutto insoddisfacente per il Comune, Depalma, su suggerimento anche del legale che ne aveva curata la difesa, non ravvisò di poter accogliere le risultanze esposte in sentenza. E, anzi, formalizzò in atti di non poter condividere sia in termini fattuali che giuridici la ricostruzione della vicenda effettuata dall’organo giudicante. Per cui con D.G n. 89 del 7.05.2021 conferì allo stesso difensore, avv. Ciro Testini, l’incarico di appellare la sentenza davanti al Consiglio di Stato.

Sta di fatto che, nella seduta dell’11 aprile scorso, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha, pari pari, confermato le valutazioni del giudice di primo grado. E, ritenendo non ammissibili le censure prodotte dalla difesa del Comune, il Collegio ha dichiarato del tutto corretta la decisione del giudice di primo grado che ebbe a qualificare la Convenzione stipulata in data 3 maggio 2000 alla stregua di una “Convenzione Urbanistica” e, dunque, suscettibile di decadenza per il decorso del termine di validità decennale. Anche sull’altro aspetto, in contestazione, relativo alla retrocessione della proprietà dell’immobile alla soc. Anthea Hospital S.p.a., il Collegio ha confermato le statuizioni della sentenza appellata in punto di giurisdizione, ivi quelle, per il cui tramite, il TAR ebbe a escludere la competenza del giudice amministrativo, rientrando ogni decisione, a riguardo, nelle valutazioni della magistratura ordinaria.

Insomma anche nell’attualità di quest’ultimo giudicato il Comune è stato soccombente e, a suo carico, gravano, in gran parte, tutte le spese giudiziarie di entrambi i procedimenti oltre, naturalmente, gli onorari  dell’Avvocato, per i due gradi, per circa € 20.000,00.

Allo stato dei fatti, suppongo che il Sindaco, Sollecito, a fronte di sì risolutive decisioni, non vorrà insistere a mantere in capo al Comune la proprietà del suolo in contestazione, dovendo riconoscere, secondo sentenza, che è caduto di validità il patto stipulato per la costruzione, su quell’area, dell’infrastruttura opedaliera che, tra l’altro, non ha giammai avuto l’indispensabile provvedimento di conformità dalla Regione come struttura sanitaria della capacità di 120 posti di ricovero.

Qualora insista sulla posizione fin qui tenuta si verificherebbe l’assurdo che, cessata di efficacia la convenzione urbanistica, per sopravvenienza normativa (nuova legge sisemica) e per fatti fortuiti o forzosi non addebitabili a nessuna delle parti, il Comune continua a tenersi l’immobile, ricevuto come corrispettivo del permesso edilizio di cui non si è avuta attuazione, mentre la società resta spogliata di ogni diritto sul bene senza avere ottenuto alcun utile dalla convenzione.

Un paradosso giuridico inamissibile: Il Comune conserverebbe la titolarità dell’immobile per tentare di farne altri usi secondo le specifiche di attuazione dello strumento urbanistico senza versare alcun compenso al proprietario, come peraltro, solitamente avviene nelle procedure espropriative, mentre l’azienda ospedaliera, quale ex soggetto attuatore, impossibilitata a porre in essere l’opera, pur pianificata con una regolare lottizzazione, perderebbe l’immobile senza ricevere alcun indennizzo.

Un vero e proprio arricchimento del Comune in danno della società Anthea Hospital.

E’ da augurarsi, perciò, che non ci si voglia appellare ad altra autorità giudicante per chiudere, una volta per tutte, questo ingarbugliato affare e non gravare di ulteriori oneri l’erario comunale.

Ma, non sarebbe, piuttosto,  logico valutare quale altra destinazione si possa dare a quel suolo, rientrando in una maglia A S (Area a servizio dei cittadini) del PRGC, se non altro per eliminare l’obbrobrioso degrado che si estende nel bel mezzo di una Zona completamente urbanizzata?

Giuseppe Maldarella

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