L’otto per mille fu ideato come una particolare forma di finanziamento a enti religiosi, la cui introduzione risale al Governo Craxi I (maggio 1985), e permise per la prima volta ai contribuenti di devolvere una quota delle loro tasse a un ente a scelta.
Esso costituisce tuttora, dunque, la quota del gettito Irpef (imposta fissa sui redditi delle persone fisiche) che i cittadini contribuenti possono scegliere di destinare in fase di dichiarazione dei redditi allo Stato o ad una confessione religiosa che abbia stipulato il protocollo di intesa. La mancata scelta non determina l’assenza della donazione, bensì l’equa ripartizione della somma tra i diversi beneficiari esistenti, osservando delle proporzioni basate sulle preferenze indicate dagli altri cittadini. Alcuni individuano la causa della drastica diminuzione delle preferenze per lo Stato nell’assenza di pubblicità per tale scopo da parte di esso, che ha visto così le donazioni calare dal 1990, quando erano pari al 23%, all’8,3%, dato invece rilevato nel 2006. Ad oggi si configura ancora come la seconda scelta con 4,02 milioni di preferenze, corrispondenti 193,6 milioni di euro per le donazioni dei cittadini e 200,69 milioni di euro per chi non ha espresso una preferenza.
Quest’anno ha acceso molti dibattiti la notizia diffusa dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia: per la prima volta dall’istituzione dell’8 per mille, la somma arrivata alla Chiesa Cattolica risulta minore di un miliardo di euro e corrisponde, infatti, a 990,9 milioni di euro. Tuttavia, essa resta l’ente all’apice delle preferenze, tanto che nel 2020 11,8 milioni di contribuenti, ossia poco più di un quarto del totale, l’hanno indicata quale beneficiaria. Come dettato dall’art. 48 della L. 222/1985, le donazioni ricevute vengono impiegate “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo”
Maria Elide Lovero