Chi l’avrebbe mai detto che la prima parolaccia della storia italiana fosse nascosta tra le mura di una basilica? Ebbene sì, proprio così! Nella Basilica di San Clemente a Roma, gli archeologi si sono imbattuti in un vero e proprio tesoro linguistico: un affresco del X secolo che ritrae una scena decisamente poco edificante.
Al centro della vicenda, un certo Sisinnio, che, nel tentativo di arrestare Papa Clemente, non riuscendo nell’impresa, si lascia sfuggire una sonora parolaccia: “Fili de le pute, traite!” (tradotto liberamente: “Figli di puttana, tirate!”). Una frase che, se pronunciata oggi, ci farebbe alzare un sopracciglio, ma che all’epoca era l’espressione genuina di un’ira incontenibile.
Ma perché questo affresco è così importante? Innanzitutto, ci offre uno spaccato autentico della lingua parlata a Roma nell’X secolo. Grazie a questa iscrizione, possiamo finalmente ascoltare la voce del popolo, con le sue espressioni colorite e il suo dialetto ruvido. In secondo luogo, ci dimostra come il linguaggio volgare, anche in tempi antichi, fosse uno strumento potente per esprimere emozioni e sentimenti.
Sapevate che questo affresco, con l’espediente di associare delle parole alle figure per rappresentare i loro pensieri è un precursore dei fumetti moderni?
Antonio Calisi