Il caso Pelicot e la vergogna che dev’essere dello stupratore

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Gisèle Pelicot.

Il processo di Mazan sta sconvolgendo la Francia e i media di tutto il mondo. In questa cittadina della Provenza, nel settembre 2020 Dominique Pelicot viene colto nell’atto di filmare sotto le gonne di alcune donne al supermercato. Nella sua casa, dove si era ritirato con la moglie per la pensione, gli viene sequestrato del materiale che si rivelerà sconvolgente. Per anni, a partire dal 2011 fino a quel momento, il signor Pelicot drogava sua moglie Gisèle e contattava uomini (se ne contano 83 di cui ne sono stati identificati oltre 50) per abusare di lei e riprendere il tutto.
Durante le dichiarazioni alla corte Gisèle, ad oggi settantaduenne, è ancora incredula su come suo marito possa essere arrivato a compiere un atto del genere. Ammette anche di non sapere, a questa età, se le sia rimasto abbastanza tempo per riprocessare ciò che le è successo e di non sapere come rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Al tribunale di Avignone Gisèle ha chiesto che il processo si svolgesse a porte aperte, rinunciando alla sua privacy (tenendo anche conto del genere di prove consegnate), perché “la vergogna deve cambiare lato. Non sono le vittime di stupro a dover provare vergogna, ma gli aggressori.”
Questa asserzione richiama in ballo tutti i casi di stupro, celebri o meno, finora. Perché “se le false accuse di stupro distruggono la vita degli uomini” allora c’è da chiedersi come mai vengano assolti nei processi e nella vita, da parte di una società che, noncurante dei contenuti pedopornografici scovati, continua a giustificare e a non condannare questi “lavoratori” e “bravi padri di famiglia”, complici o esecutori di un abuso. 

Sofia Fasano

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