Ogni quattro anni, gli Stati Uniti eleggono il loro presidente attraverso un sistema elettorale che può sembrare complicato, soprattutto agli occhi di un osservatore esterno. Il sistema americano non si basa infatti sul voto popolare diretto, ma su un complesso meccanismo chiamato “Collegio Elettorale”, pensato dai Padri Fondatori per bilanciare il peso delle varie aree del paese.
Il Collegio Elettorale: un compromesso storico
La Costituzione americana, scritta nel 1787, prevede un sistema elettorale indiretto, in cui i cittadini non votano direttamente per il presidente, ma per dei “grandi elettori” (Electors), che rappresentano ogni stato e che poi esprimono il voto decisivo per il candidato. Il Collegio Elettorale, quindi, è una sorta di compromesso tra un’elezione diretta (dove il voto popolare determinerebbe l’esito) e il sistema rappresentativo.
La ragione storica di questa scelta risiede nel tentativo di garantire un equilibrio tra stati più popolosi e quelli meno popolosi, per evitare che le aree urbane, più densamente abitate, avessero un’influenza eccessiva sul processo elettorale, mettendo in ombra le aree rurali.
Come funziona il Collegio Elettorale
Ogni stato ha un numero specifico di grandi elettori, che equivale alla somma dei suoi rappresentanti nel Congresso: due senatori (numero fisso per ogni stato) più i deputati alla Camera, che variano a seconda della popolazione. In totale, il Collegio Elettorale conta 538 elettori, e per diventare presidente un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti elettorali, cioè almeno 270 voti.
Quando i cittadini americani votano per il presidente, il loro voto determina indirettamente come verranno assegnati i voti elettorali del proprio stato. Nella maggior parte degli stati, vige un sistema di “winner-takes-all” (chi vince prende tutto): il candidato che ottiene più voti in quello stato si aggiudica tutti i voti elettorali. Solo due stati, il Maine e il Nebraska, utilizzano un sistema proporzionale che permette di assegnare i voti elettorali in base ai risultati di ciascun distretto congressuale.
Il voto popolare e il rischio di discrepanze
Uno degli aspetti più discussi del sistema americano è la possibilità che un candidato possa vincere il Collegio Elettorale senza ottenere la maggioranza del voto popolare, come già accaduto in cinque elezioni, la più recente delle quali nel 2016. Ciò avviene perché i voti elettorali non sono distribuiti in modo perfettamente proporzionale alla popolazione di ogni stato.
Di conseguenza, il peso di un singolo voto può variare: ad esempio, gli stati meno popolosi, come il Wyoming, hanno un numero di voti elettorali sproporzionato rispetto al loro numero di abitanti, mentre stati come la California e il Texas, molto popolosi, finiscono per avere meno rappresentanza elettorale per abitante. Questo meccanismo è spesso oggetto di dibattito, con alcuni che lo considerano obsoleto o antidemocratico.
Gli Stati chiave e la strategia elettorale
Per via del sistema “winner-takes-all”, la maggior parte dei candidati concentra le proprie risorse negli stati “in bilico” (swing states), quelli che storicamente hanno alternato il voto tra partiti diversi e che, per via della loro alta densità di voti elettorali, possono determinare l’esito delle elezioni. Tra questi, gli stati della Florida, della Pennsylvania, del Michigan e dell’Arizona ricoprono un ruolo fondamentale, poiché la loro scelta può decidere le sorti della campagna elettorale.
Il sistema elettorale americano, quindi, non richiede necessariamente di vincere in tutti gli stati, ma di conquistare strategicamente quelli che possono garantire il raggiungimento dei fatidici 270 voti.
Critiche e proposte di riforma
Negli ultimi decenni, la struttura del Collegio Elettorale è stata oggetto di critiche crescenti. I sostenitori di una riforma sostengono che il sistema attuale dia troppo potere agli stati più piccoli e permetta che il presidente venga eletto senza un reale consenso popolare. Alcune proposte mirano ad adottare un sistema di voto popolare diretto, ma un simile cambiamento richiederebbe un emendamento costituzionale, un processo complesso che necessiterebbe il consenso di almeno due terzi del Congresso e di tre quarti degli stati.
Un’alternativa potrebbe essere il cosiddetto “National Popular Vote Interstate Compact” (NPVIC), un accordo tra stati che si impegnano ad attribuire i propri voti elettorali al candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari nazionali. Attualmente, alcuni stati hanno aderito a questo patto, ma non si è ancora raggiunto il numero necessario per renderlo effettivo.
Il sistema elettorale americano rappresenta un’interessante sintesi di storia, tradizione e complessità istituzionale. Sebbene imperfetto, è radicato profondamente nel tessuto politico degli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali americane non sono solo un’occasione per scegliere un leader, ma un evento che riflette il continuo dibattito su cosa significhi rappresentare veramente una nazione così vasta e diversificata.
Tra sostenitori della riforma e difensori della tradizione, il Collegio Elettorale continua a essere un simbolo della democrazia americana: un sistema che cerca, non senza difficoltà, di dare voce a tutti, dagli stati più piccoli ai colossi della popolazione come la California. E mentre il mondo osserva, il popolo americano si prepara ancora una volta a fare la propria scelta.
Francesco Saverio Masellis