Nel bel mezzo della campagna a confine tra Corato e Trani, lungo il tracciato dell’ex Statale 98, si giunge a uno spiazzo decorato da colonne in pietra, su cui si leggono, ormai sbiadite dal tempo, due frasi: “Qui nel 1503, si pugnò la Disfida dei tredici sul terreno neutrale di dominio Veneto. Bel fatto di valore italico contro l’arroganza degli invasori in età ignava”. Alla fine di un lungo viale che si apre tra file di olivi, si erge solitario un antico monumento, in parte coperto dalla vegetazione spontanea, nel luogo in cui si svolse la celebre Disfida di Barletta.
Il contesto in cui si svolse l’importante evento storico fu quello delle Guerre d’Italia: nel 1500, Luigi XII di Francia e Ferdinando II d’Aragona avevano firmato il trattato di Granada per spartirsi i territori del Regno di Napoli. Subito, però, sorsero dei conflitti sull’interpretazione letterale del trattato, per definire nei fatti fin dove si estendeva l’influenza francese e, di conseguenza, quella aragonese.
Fu così che i francesi e gli spagnoli, comandati rispettivamente da Louis d’Armagnac e da Consalvo di Cordova, vennero spesso alle armi. Ma gli scontri, anziché concretizzarsi in vere e proprie battaglie campali, finivano per assumere la forma di scontri di cavalleria. A seguito dell’avanzata francese, gli spagnoli si insediarono in Barletta che, anche per la presenza dell’importante porto, consentiva di meglio organizzare la tenuta dei territori. Viceversa, i francesi arrivarono fino a Canosa.
La vicinanza tra i due eserciti portò ad alcune scaramucce, tra le quali quella che consentì agli spagnoli di fare prigioniero il nobile francese Guy de la Motte. Durante un banchetto indetto dal Cordova e tenutosi nella famosa Cantina della Sfida, Guy de la Motte accusò i soldati italiani di essere codardi, italiani che, invece, vennero difesi a spada tratta dallo spagnolo Inigo Lopez de Ayala.
Si decise, quindi, di risolvere la questione con uno scontro tra 13 cavalieri italiani e 13 francesi, che si sarebbero contrapposti il 13 febbraio 1503 in territorio neutrale, tra Andria e Corato. Le armi degli sconfitti sarebbero state cedute alla controparte in premio, il riscatto per ogni prigioniero venne fissato a cento ducati, furono nominati quattro giudici e si provvide a prendere due ostaggi per parte.
Gli italiani, quindi, si riunirono nella cattedrale di Andria per il giuramento, mentre i francesi si appostarono in Ruvo.
Le due parti giunsero sul luogo dello scontro e ai francesi, giunti per ultimi, fu concesso di entrare per primi nel campo. Questi, fortemente disorganizzati rispetto agli italiani, finirono per perdere uno dopo l’altro i cavalli. Infine, lo scontrò terminò con spade e scuri.
I francesi, usciti sconfitti, non avevano neanche portato con sé il denaro per il riscatto, certi com’erano della vittoria. Condotti a Barletta in custodia, fu proprio Consalvo da Cordova a pagare il necessario per riconsegnare loro la libertà.
L’evento ebbe grande risonanza in tutta la penisola, nonostante la portata effettiva fosse tutt’altro che significativa. Gli stessi italiani militavano per gli spagnoli, e finirono per favorire la sudditanza che sarebbe durata per secoli.
Il monumento realizzato sul luogo dello scontro venne commissionato ottant’anni dopo la “Sfida” da Ferrante Caracciolo, duca di Airola e preside della Terra di Bari. Dal 1583 campeggia quindi un’epigrafe in latino con i versi dell’umanista Pier Angelio Bargeo, che può essere così resa:
“Chiunque tu sia, se d’eminenti e ardite imprese ammaliato vai, apprezza dei fieri condottieri le eccelse gesta. Qui sublime ardore in epico certame a battersi incitò tredici d’Ausonia contro tredici di Francia, tanto che Marte stesso sembrava tra lor pugnare e in essi fomentare ardimento e vigore. Pari il lor numero, l’armi, l’età, e parimenti entusiasti d’eroicamente immolarsi per la Patria loro. La fortuna e l’alto valore risolse la battaglia: e la schiera a cui spettava conseguì la vittoria. Qui gl’Italiani in leale scontro atterrarono i Franchi, qui la vinta Francia la mano porse all’Italia.” [traduzione dal sito Andriarte.it]
A ciò si aggiunge il testo che ricorda il promotore, il Caracciolo per l’appunto. Infine, lo stemma della Città di Trani, con la data del 1846, quando evidentemente vennero realizzati dei lavori di rifacimento del monumento.
Nonostante l’importanza del luogo, comunque, le condizioni non sono delle migliori, e parte degli stessi stemmi sono coperti dalla vegetazione spontanea. Sicuramente la posizione del luogo contribuisce alla situazione. Ma la sensazione di trovarsi in un luogo dove si è svolta la storia non può essere fermata nemmeno dalla decadenza del monumento.
Giuseppe Mennea