In questi ultimi giorni non si fa a meno che parlare di Ridley Scott e della sua ultima fatica, l’attesissimo seguito del suo film cult “Il gladiatore”. Ma facciamo un passo indietro, a solamente un anno fa quando in sala usciva “Napoleon”, sempre diretto dal regista britannico. Come lui, molti altri nel corso della propria carriera hanno accarezzato l’idea di portare sullo schermo un personaggio storico dal calibro di Napoleone.
Da Henry Koster (“Désirée”) a Paolo Virzì (“N – Io e Napoleone”), ognuno a suo modo ha avuto a che fare con il generale, il console, l’imperatore dei francesi. Tra questi anche Stanley Kubrick e la sua opera mai realizzata. Il regista rimase affascinato dalla parabola che fu la vita di Bonaparte: proveniente da una famiglia borghese di un’isola mezzo italiana, mezzo francese – la Corsica – fino all’esilio su un’altra isola sperduta nell’oceano atlantico – Isola di Sant’Elena – non prima di aver governato e messo in ginocchio mezza Europa (tranne, ovviamente, inglesi e russi).
Generalmente Napoleone è stato rappresentato nel cinema come una figura duplice: nella sfera privata è un seduttore, goloso e manipolatore, in quella pubblica c’è l’aspetto dell’arrivista defilato e, a scalare, dell’imprenditoriale uomo di potere e quello di odiato imperatore francese.
Certa è l’impossibilità di ridurre in un paio d’ore di film, dagli esordi, la sua vita privata, l’ascesa e il tramonto politico. L’ultimo tentativo di Scott è il risultato di fuggevoli e malmessi episodi biografici, che cercano, invano, un equilibrio tra il rapporto di coppia con Giuseppina de Beauharnais e le scene di battaglia.
Sofia Fasano