Le Grotte di Chiancarello: da frantoio ipogeo a rifugio durante la Guerra

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Interno di uno dei due edifici.

Nei secoli passati, quando l’economia locale si basava prevalentemente sull’agricoltura, spesso si finiva per trasformare l’ambiente naturale per renderlo adatto e utile allo svolgimento di tali attività. A pochi passi dal centro di Bitonto, lungo il tracciato di Lama Balice, quasi a ridosso del viadotto della SP 231, si aprono in una scarpata le Grotte di Chiancarello, testimoni di questo passato in quanto trasformate dall’uomo in frantoio.

Raggiungerle è facile, basta imboccare l’omonima Via Chiancarello e, scendendo nella lama scavata dall’antico fiume Tiflis, dirigersi verso la parete sinistra. Appaiono coperte da due strutture in muratura, addossate alla scarpata rocciosa e utilizzate anch’esse a scopo agricolo. Tali strutture sono probabilmente gli ultimi indizi di quello che fu il Casale di Chiancarello, che diede il nome al complesso. Esso era in precedenza diversamente noto come Pescara del Corvo.

Ingresso della prima camera.

Pur apparendo in parte rimaneggiati nel corso dell’epoca recente, dovrebbero essere comunque abbastanza antichi, essendo caratterizzati da una volta a botte lunettata.

L’accesso alle grotte è duplice, in quanto queste si sviluppano attorno a due camere principali, poste rispettivamente alle spalle dei due fabbricati di cui abbiamo detto, collegate fra loro da un tortuoso corridoio scavato nella roccia. Se la prima camera che si incontra appare più piccola e semplice, con un foro nella parete che permette l’ingresso della luce e dell’aria, sicuramente più interessante è la seconda camera.

La seconda camera (vd. anche immagine di copertina).

Questa è molto più ampia della precedente e presenta alcuni pilastri centrali a sostenerne la volta. Sicuramente l’elemento interessante che dimostra l’utilizzo del complesso da parte dell’uomo è dato dalla presenza di alcuni pilastrini lungo una parete, laddove si trovavano gli alloggiamenti dei torchi e delle presse utilizzati per la produzione dell’olio. L’ambiente, comunque, colpisce per la sua ampiezza e per il fatto di essere perfettamente illuminato dalla luce proveniente dall’ingresso, grazie all’ottima esposizione a ridosso della lama.

Gli alloggiamenti dei torchi e delle presse scavati nella roccia.

La cavità prosegue poi sulla destra, dilungandosi con un ulteriore corridoio che termina con un ambiente molto ridotto, probabilmente usato come deposito.

Il complesso risulta essere al momento completamente abbandonato, anche se pare sia stato utilizzato soprattutto in epoca più recente, durante le due Guerre Mondiali, come rifugio durante i bombardamenti. Rappresentano, quindi, un luogo centrale per la storia antica e recente della vicina Città di Bitonto, meritando probabilmente un destino diverso dall’attuale.

Giuseppe Mennea

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